Al Museo APE, in Parma, mostra dedicata a Mario Lanfranchi.
Già regista di teatro, opera lirica e cinema, amante
dell'arte e collezionista, il maestro ha avuto una vita avventurosa anche in
USA e Gran Bretagna.
Ha lavorato, tra gli altri, con Nureyev e la Fracci, Charles
Aznavour e Peter Ustinov nonché con la soprano Anna Moffo, divenuta poi sua
moglie.
Molta emozione tra gli amici intervenuti alla conferenza
programmata. Ammiratore e sostenitore di Bernardo, Mario Lanfranchi è riuscito ancora
a commuovere a due anni dalla sua scomparsa.
Il 10 dicembre 2005, i Mangala
Vallispresentarono, in anteprima,
l’album “Lycanthrope” a Villa Lanfranchi.
Bernardo aveva avuto il piacere e l’onore di conoscere Mario
Lanfranchi, pochi mesi prima, in occasione di un concerto con musicisti di
Parma legati al teatro, nel suo giardino all’italiana.
Il Maestro, già regista di opere liriche, cinematografiche,
amante della musica, della recitazione e dell’arte in generale, ospitò il
concerto unplugged della band nel suo teatrino di corte.
Successivamente, Bernardo, non senza emozione, chiese a Mario
la possibilità di usare alcune zone della sua villa, come location per un
articolato progetto video dei Mangala.
“Bernardo”, gli disse il Maestro, “questa non è una
casa o un’abitazione… Questo è un teatro!DEVI girare il video!”.
Aggiunse poi: “Mi scuserai se non mi metterò dietro la macchina da presa ma
potrete filmare in esterni e interni in ogni zona che vorrete scegliere, non
escludendo alcun ambiente, camera da letto e scantinati compresi. Metto a
disposizione anche la mia Bentley!”
“Lycantropus Ducalis” è una produzione video che raccoglie
tre cortometraggi girati sulle musiche di tre brani scelti dall’album
“Lycanthrope”.
The Boy That Howls At The Moon
Call Me Alias
The Mask
Mario Lanfranchi ci ha lasciati il 3 gennaio 2022. Bernardo è
onorato di avere avuto l’amicizia del Maestro e orgoglioso di averlo avuto come
ammiratore e sostenitore della propria vocalità.
Il racconto di Bernardo Lanzetti a proposito dei Mangala Vallis e del loro album “Lycanthrope”…
Il secondo album dei Mangala
Vallis, “Lycanthrope”, è stato per me un lavoro moto
importante perché mi ha riconciliato con il Prog e ha sviluppato le mie
attitudini all’arte.
Dopo essere stato ospite nel primo album, “The Book Of
Dreams”, entrato nella band a tutti gli effetti, sono stato conquistato dal
concept ideato da Gigi Cavalli Cocchi e dalle musiche scritte da Mirco
Consolini e Enzo Cattini.
In particolare, ricordo quando nella soffitta/studio Tamburo
di Gigi, Enzo mi accennò, all’Hammond, l’intro e lo sviluppo di quello che
sarebbe diventato “Call Me Alias”.
Avevo trovato posto a sedere in un angolo della panca
dell’organo, giusto accanto a Enzo che suonava e con poche parole descriveva lo
svolgimento del brano. Ebbi la visione di un quartetto d’archi che suonava
nello spazio ma, cosa ancor più straordinaria, qualcosa mi diceva che quella
musica mi aspettava perché destinata a me.
Incaricato di scrivere i testi, affrontai il tema alla
maniera di certi film degli anni ’70, dove diversi registi proponevano il
proprio episodio visionario sul tema comune (curioso rilevare la riproposta del
genere con l’attuale film “Kinds Of Kindness).
In questo modo, poi, come vocalist, sarei stato, di volta in
volta, il narratore, il giovane uomo inquieto, il filosofo dietro gli
accadimenti e, naturalmente, il Licantropo.
All’epoca, ero quasi sempre nel mio studio di pittore a Crema,
dove praticamente vivevo da single. Avevo spazio e tempo per osare in ogni
direzione.
Non so come, arrivai a piazzare penne e quaderni in ogni
angolo delle due grandi stanze a disposizione. L’impianto audio diffondeva i
nuovi brani demo registrati con l’inglese maccheronico accennato dal Consolini,
mentre io mi aggiravo tra tavoli e cavalletti come un’ombra spiritata, un
cacciatore o una preda.
Scrissi tutti i testi praticamente stando in piedi e le
parole per uno stesso brano si sviluppavano in zone diverse dello studio e su
pagine di quaderni differenti…
Echo Absolute - Rimanda a quello “spazio” intuito all’inizio di
questo scritto
Cosmotraffic Jam - Intrappolato in un ingorgo stradale cosmico,
l’interprete prende la decisone di cambiare la propria natura: non più
sostenibile come umano sogna di diventare animale.
Call Me Alias -Sull’assurdità e incongruenza dei rapporti umani di
quel presente. L’attrazione amorosa sempre in cerca di poesia per realizzare
l’amore. Occorre ricordare che lo scritto risale al 2005 ben prima
dell’esplosione dei social.
Lycanthroparty - Prima di diventare un Licantropo, il soggetto
organizza un grande party per salutare tutti gli umani…
Hum / Animal Song - La canzone celebra l’umano e la
belva.
The Boy That Howls At the Moon - Il ragazzo che ulula alla luna. Un
telefilm con gli accadimenti in cronologia.
The Mask - Ancora su aspetti assurdi e insostenibili della società
odierna.
The Transparent And The Obscure - Un discorso filosofico sulla
contrapposizione tra il “trasparente” e “l’oscuro”.
Nell’estate del 2001 venni contattato da Gigi Cavalli Cocchi che
assolutamente non conoscevo, ma che mi convinse a partecipare al progetto di
debutto discografico del suo gruppo Mangala Vallis.
L’album, “The Book Of Dreams”, un concept sulla figura
di Giulio Verne e del suo mondo letterario fantastico, era in avanzata fase di
lavorazione ma, a quanto ricordo, il primo cantante aveva abbandonato per
trasferirsi in oriente e il secondo stava vagliando la proposta per andare a
cantare e recitare in un musical. La situazione era ancora più complessa in
quanto alcuni testi erano incompleti e non definitivi.
Nello specifico, mi si chiedeva di essere ospite nel brano
"A New Century" che era nelle mie corde e, dopo una piccola
revisione del testo, anche nella mia letteratura.
L’album uscì nel 2002, e ricordo che fu presentato al Teatro
Piccolo Orologio di Reggio Emilia con un concerto dove la formazione includeva
numerosi ospiti.
Nell' occasione dell'evento al Teatro Nuovo di Spoleto, l'incontro/intervista
con Steve Hackett, l'amico e
collaboratore Vincenzo Ricca è riuscito a organizzare un pranzo con il
chitarrista, la moglie Jo e le nostre rispettive.
Pur stanco e provato, Steve è stato generoso nel dialogare
con noi. Ancora una volta ha confidato quanto gli piacerebbe migliorare la sua
vocalità. In molti gli danno suggerimenti ma, simpaticamente, rivelava che,
quando nello studio di registrazione si accende la luce rossa che segnala
l'inizio registrazione, lui dimentica ogni consiglio e si ritrova con le solite
problematiche.
In particolare, a lui piacerebbe molto migliorare il suo
"vibrato" e il sottoscritto gli ha riferito che proverà a fornirgli
valide istruzioni in merito...
L’americana Marva Jan Marrow arriva nel nostro paese ad inizio anni ’70, e per un decennio
vivrà la “nostra” musica in modo attivo, dando un contributo fondamentale.
Cantante ma,
soprattutto, autrice, fornirà il suo tocco personale collaborando con artisti
come Guccini, Graziani, Battisti, BANCO, Fossati, Mina, Battiato, Venditti,
Pravo, Cocciante… e chissà quanti altri! Ma la musica non è tutto, perché
l’amore per la fotografia spinge verso l’artwork, che diventa per lei una nuova
forma espressiva e vincente, negli ani ’80.
Ma il
binomio Marva/PFM resta il più vivo nei ricordi degli appassionati di musica,
grazie anche al lungo legame sentimentale che l’ha legata a Patrick Djvas,
bassista della band.
Partiamo dall'album "Chocolate Kings", i cui brani sono stati da lei
firmati/cofirmati con Mauro Pagani.
Ecco la
testimonianza di Marva Jan Marrow.
Marzo 2015
Nel mondo del Prog, già girava il tuo nome per gli album dell’Acqua
Fragile.
Hai qualche ricordo di quelle tue partecipazioni?
Ricordo che all’epoca scrivevo molti testi in Inglese per
diversi artisti italiani, specialmente per quelli della casa discografica
Numero Uno. E’ stato un periodo creativo in cui ero molto ispirata. Ricordo che
nel mio primo incontro con Bernardo Lanzetti rimasi piacevolmente sorpresa per
la sua conoscenza della lingua inglese – non comune per quell’epoca, in Italia.
Mi piaceva l’energia del suo gruppo (Acqua Fragile) e la singolare qualità
della sua voce. Diventammo amici. Ricordo che diedi una mano con l’Inglese
fornendo alcuni consigli per l’album, ma niente di specifico.
Sappiamo
delle tue collaborazioni con Lucio Battisti alla Numero Uno.
Fu in
quell’ambiente che fosti contattata dalla PFM?
Il manager
della PFM, Franco Mamone, era anche il mio. All’epoca facevo serate da sola o
con vari gruppi. Ho conosciuto Patrick Djivas il bassista, nell’ufficio di
Mamone, il pomeriggio di un Febbraio freddissimo. Noi due cominciammo a parlare
e finì che lui mi invitò a cena. Mentre io gli facevo strada sul mio motorino,
lui mi seguì con la sua auto piena di bagagli perché giusto di ritorno dopo una
visita a sua madre a Nizza (Patrick è francese). Prima del ristorante, mi
chiese se poteva appoggiare la sue valigie e il suo basso a casa mia per
evitare di lasciarli nell’auto incustodita. Andammo a cena e poi lui… non se ne
andò più. Da quel giorno abbiamo vissuto insieme per tredici anni. Mamone
continuò ad essere il mio manager e io andai anche in tour aprendo diversi
concerti prima della PFM. Fu in quel periodo che cominciai a collaborare ai
loro testi prima per Chocolate Kings e più tardi per Jet Lag.
Come si
sviluppò la tua collaborazione con il gruppo e specificatamente con Mauro
Pagani alle prese con i testi in Inglese?
Ciò che io ricordo è che io ho scritto i testi “DA SOLA”,
con alcune direttive della PFM circa gli argomenti. All’epoca sia Pagani che
Mussida sapevano solo qualche parola di Inglese. Certo frequentavo Mauro e
la sua prima moglie, Adalaura, così come anche gli altri della PFM perchè
vivevo con Patrick Djivas.
Si sa che
Bernardo Lanzetti entrò nella PFM solo tre giorni prima che entrasse in sala a
registrare l’album. In precedenza Ivan Graziani era il cantante destinato.
Per la
verità non ricordo molto di questo. Fu tutto deciso abbastanza in fretta perché
l’album in inglese era già da realizzare e si doveva partire per gli USA. So
che si dice che a Ivan Graziani fu chiesto di entrare come cantante nel gruppo
ma, per quanto io ricordi, questo è stato solo un pensiero che è passato veloce.
A distanza
di quarant’anni riesci a inquadrare, in positivo o in negativo, l’album
Chocolate Kings? Come lo consideri e che valore puoi dargli nella discografia
della PFM almeno fino a quando sei stata in Italia?
Credo ci
siano diverse composizioni e temi di rilievo nell’album Chocolate Kings, molto scomodi però per gli americani. D’altra
parte non sono sicura che anche gli italiani ne fossero conquistati perché
portati a pensare che la PFM fosse diventata un po’ snob e intenzionata a
lasciare l’Italia, mentre in realtà le tematiche delle composizioni erano
dirette e studiate più per un pubblico italiano che americano. Fu così che in
qualche modo l’album si posizionò come in una terra di nessuno anche se molte
delle canzoni erano allegorie molto potenti.
Rileggendo
la tua “storia italiana” si nota come il tuo ruolo di autrice sia stato molto
trasversale, avendo tu collaborato sia con importanti cantautori che con gruppi
prog rock: esistono difficoltà creative specifiche che differenziano un testo
dedicato a Fossati piuttosto che uno disegnato per la PFM?
Quando
scrivevo testi per un qualche artista cercavo sempre di considerarne la
personalità ed entrare in sintonia con lui. Per me era poi molto, molto
importante, che i versi avessero un SOUND, ovvero non solo significati, ma
anche musicalità nelle parole così che esse potessero rimbalzare dalla lingua per
valorizzare la musica e il ritmo. Il risultato è così quello che ogni canzone
appare confezionata su misura per ogni artista, con la musica e il significato
a guidare la loro strada, fossero Battisti, Fossati o la PFM. I testi devono
essere molto “musicali”. Ho scritto per molti cantautori e per diversi gruppi
di loro con lo stesso approccio di base, ma con risultati moto diversi perché
diversa la musica.
La tua
passione per la fotografia ti ha portato a realizzare alcune copertine di
album: che cosa pensi del contributo aggiunto che poteva arrivare da un certo
“art work” indovinato, e che giudizio dai di quelli utilizzati per Chocolate Kings?
Chocolate
Kings aveva due diverse copertine – una per il mercato Americano e una per
l’Italia. Non credo di amare nessuna delle due, ma credo di preferire la
versione con la piccola foto della donna grassa, più elegante.