domenica 23 gennaio 2011

Una serata con Bernardo Lanzetti


Ciò che mi appresto a scrivere è a mero appannaggio di quelle 13 persone + 2 (commensali e ritardatari) che hanno contribuito alla riuscita di una serata piacevole. A nessun altro interesserà, ma sono certo che a quei 13+2 farà piacere avere la “registrazione” di una attimo di vita piacevole.

Le settimane volano via con grande rapidità, e spesso ci stupiamo del fatto che sia già venerdì, mentre eravamo sicuri di essere a metà settimana. Presi dalla routine capita di avere lunghi periodi, seppur sereni, senza niente di significativo da ricordare. Ma per avere un’impennata di soddisfazione non si deve necessariamente scalare una montagna, e forse una cena improvvisata tra amici può sortire un grande effetto; se poi il gruppo è omogeneo negli interessi si realizza al 100% lo scopo della “riunione”, perché sarà un momento di perfetto scambio sociale.
Per una magica combinazione astrale, Bernardo Lanzetti mi avvisa, a inizio settimana, che transiterà da Savona diretto verso il ponente ligure. Me lo aveva promesso da tempo, ma non credevo potesse davvero accadere... troppi gli impegni. In poco tempo cerco di metter su una “serata di chiacchiera” con amici, gli stessi con cui cinque giorni prima dicevamo:”... dovremmo organizzare una reunion… da troppo tempo non lo facciamo”.
Tutto avremmo pensato, domenica scorsa, tranne che passare qualche ora con Lanzetti e consorte.
Ci conosciamo da un po’, io e Bernardo, e ne sono particolarmente felice perché le sue caratteristiche personali non sono comuni. Inutile soffermarsi sulle qualità canore di un cantante rock (riduttivo inserirlo in una categoria specifica) riconosciuto unanimemente come straordinario, ma ciò che colpisce tutti quelli che hanno modo di parlargli, anche solo una volta, è la sua semplicità, la sua voglia di entrare in sintonia con qualsiasi fan, il piacere del confronto e del racconto personale. Sarebbe bello scrivere un libro dei sui trascorsi, e non è detto che un giorno non si riesca a farlo.
Anche ieri sera è avvenuta l’alchimia e Bernardo ( e Amneris) è immediatamente entrato in sintonia con persone poco o per niente conosciute. I suoi aneddoti sulle tournèe negli USA o in Giappone calamitano facilmente l’attenzione dell’audience, formata da musicisti e musicofili, ma la cosa che alla fine emerge è che un semplicissimo momento di incontro, come ce ne capita uno a settimana, si è trasformato in qualcosa di speciale, da album dei ricordi, e probabilmente non solo per noi indigeni.
Stessa cosa a fine serata, quando nel mitico pub Van Der Graaf di Fabrizio Cruciani si uniscono i “+ 2” segnalati a inizio post. Una bevuta e un coro finale che sono sicuro anche Bernardo gradirà rivedere.
E’ passata la mezzanotte quando ripercorriamo i vicoli della città vecchia, costeggiamo la darsena e raggiungiamo l’auto al Priamar, un percorso obbligato che, nonostante il buio risulterà piacevole, e potrebbe riportare Bernardo a Savona, con o senza musica.
A proposito di progetti, ecco qualche novità che lo rigurada...

Il comunicato ufficiale.
Una nuova Band

Cavalli Cocchi, Lanzetti, Roversi, hanno attraversato la musica italiana degli ultimi quarant’anni lasciando la propria impronta in storie dai nomi illustri.
CSI, Ligabue, Clan Destino, Acqua Fragile, PFM, Mangala Vallis, Moongarden, Zamboni, insieme a collaborazioni con artisti come David JAckson e Judge Smith (Van Der Graaf Generator), Ivano Fossati, Clive Bunker (Jethro Tull), John Wetton (King Crimson) sono tappe di un viaggio che oggi li ha fatti incontrare in questo nuovo progetto, come l’energia di tre torrenti che converge in un unico grande fiume.
In questo album che porta i loro nomi, si assaporano i modi e i mondi di tre musicisti dalla forte personalità, che hanno dato vita ad una creatura che attraversa i generi trasversalmente, li rende liquidi, per poi rinominarli in un nuovo metallo prezioso.
Nove tracce raffinatissime dove la filosofia di un suono e di timbriche precise, sono l’elemento che contrassegna l’intero lavoro.
Nessuna chitarra elettrica, nessuna concessione all’elettronica, ed una scelta rigorosa che privilegia le atmosfere acustiche: l’inconfondibile ed ancor più sorprendente voce di Lanzetti, le tessiture ritmiche di Cavalli Cocchi, che ha ottenuto il suono della sua batteria utilizzando pelli, accordature e bacchette frutto di una precisa ricerca, il pianoforte più classico e le affascinanti sonorità del Mellotron (utilizzando uno strumento restaurato degli anni 70) e del Chapman Grand Stick dei quali Roversi è maestro.
Le nove tracce del loro album di debutto vedono la presenza di altrettanti chitarristi di fama nazionale e internazionale, che hanno utilizzato solo sei corde acustiche e classiche, una scelta questa, che sublima e completa il concept di questo disco.
L’uscita di “CCLR” è prevista per i primi mesi del 2011.

Considerazioni di Bernardo Lanzetti sul suo percorso musicale fino a CCLR.

E’ indubbio che la maniera per comporre, arrangiare e produrre un brano musicale nonché le modalità della sua registrazione su supporto fonografico rivelino la natura stessa del prodotto artistico in oggetto.
IL compositore a vergare il foglio di musica, l’artista al pianoforte, il cantautore alla chitarra, il gruppo riunito attorno al mixer con l’ingegnere del suono, il contemporaneo sempre di fronte allo schermo di un computer, sono figure diventate ormai familiari ma meno conosciuto è il vero rapporto tra questi metodi ed il risultato.
Se andiamo oltre il fatto che oggi si tratta solo di “canzoni e personaggi”, possiamo ancora avere la fortuna di rileggere il passato o farci sorprendere da una innovazione pur sottile ed inafferrabile nello stratificare di frullati e croste di suono quotidiano.
Per la mia esperienza e conoscenza, l’artista innovativo, colui che inventa i generi, o meglio ancora li attraversa, è certamente in grado di uscire dagli schemi e rientrarvi a piacere senza condizionamenti di sorta.
Esistono “Corsi di Composizione” e “Scuole per Cantautori”, metodi per il “Fai da Te” ed il famigerato “Copia/Incolla”. Ritengo sia importante conoscerli quanto trasgredire alle loro regole e precedenti.
Per tutta la prima metà degli anni ’70, riecheggiando la musica classica ed il jazz, ha risuonato la “potenza dello strumentale” ovvero la canzone diventava improvvisamente stretta se non risibile, l’accompagnamento gareggiava con il canto per la supremazia all’interno dell’opera sonora.
Ecco, le tecniche che usavo ai tempi dell’Acqua Fragile, quelle che senza malizia si imparavano, in modo istintivo, un po’arruffato, dai maestri d’oltremanica e d’oltreoceano, si rivelano strategiche anche con CCLR.
Nell’attesa dell’album accontentiamoci del coro da strada che, in una fredda sera di gennaio, ha attirato "larga fetta" della popolazione cittadina nella centralissima via Mistrangelo.


lunedì 29 novembre 2010

Novi Ligure-Concerto benefico



Novi Ligure, 26 novembre 2010


Concerto benefico a favore della Delegazione Novese L.I.L.T. (Lega Italiana per la lotta contro i Tumori).



A venti giorni dalla Prog Exhibition di Roma, ho ritrovato alcuni di quei protagonisti (Tagliapietra, Di Giacomo, Maltese, Calderoni, D. Jackson) sul palco del Teatro Giacometti.
Non solo loro, ovviamente, ma anche Clive Bunker, Bernardo Lanzetti e … i padroni di casa, la Beggar’s Farm.
L’elevato tasso “mitologico” (nel senso della grandezza e non della vetustà) che Franco Taulino, leader del gruppo, riesce a raccogliere ogni volta sul palco, fa spesso passare in secondo piano questa band alessandrina, che è qualcosa di più di una cover band o di un valido supporto per chi si esibisce di volta in volta, ma le qualità tecniche dei musicisti che la compongono fanno sì che si tenda a considerarla ormai un tutt'uno con il resto degli artisti più affermati.
La famiglia Beggar’s Farm è abbastanza dinamica e attorno alla base (Taulino, Garavelli,Valle, Ponti, Chiaraluce) questa volta si sono alternati sul palco Andrea Rogato, Massimo Faletti, Matteo Ferrario, Simone Taulino, Franco Castaldo e “Martina” Simona Caligiuri (il nome “Martina” è quello con cui Francesco Di Giacomo l’ha ribattezzata nel corso della serata).
Probabilmente nessuno dei presenti, sul palco o in platea, riesce bene a realizzare, sul momento, che cosa voglia dire una serata come questa, come quella di Oviglio, di Volpedo, di Acqui, di Alessandria, di Alba
Solo a distanza di tempo, solo dopo attenta riflessione, si comprende appieno che è diventata la normalità trovarsi davanti e conoscere personalmente chi è entrato nella storia della musica, italiana e internazionale.
Personalmente cerco sempre di creare stimoli e aspettative verso chi pensa di partecipare a questi eventi, perché so che non potrà rimanerne deluso e ricorderà per sempre una serata di musica: la condivisione è la mia maggior soddisfazione.
Alcuni amici, a fine concerto, mi hanno confessato di aver avuto momenti di …”sbandamento”, tanta è stata l’emozione: cosa si può chiedere di più a una performance live?
Tre ore e mezzo di musica, con una sorta di suddivisione tra i protagonisti, nel rispetto della produzione storica, con un finale da brivido, un “Non mi rompete , antico brano del BMS, proposto con tutti i musicisti on stage, visibilmente e comprensibilmente soddisfatti.
Prima parte di spettacolo con Aldo Tagliapietra che ripropone le sue ballate, la parte più soft della storia delle Orme, coadiuvato dall’istrionico David Jackson e Calderoni, oltre che dal gruppo di casa.
Le canzoni delle Orme sono nel cuore di tutti, e di quel gruppo il timbro vocale di Aldo è elemento imprescindibile; se poi si considera che l’inserimento di Jackson ha dato nuovo volto e differente dimensione a quei brani( e non poteva essere altrimenti, vista la grandezza di David, che non ha mai manie protagonistiche, ma tende a mettere a disposizione dei compagni di viaggio il proprio genio musicale)il risultato finale non poteva essere che un’ovvia conseguenza.
Mi auguro che le dimostrazioni di amore e gradimento portino Aldo Tagliapietra (e Toni Pagliuca) a continuare quel cammino, un tempo interrotto, e oggi nuovamente sul punto di decollare.
Per un cantante (e bassista ) che si allontana (momentaneamente), un altro ne arriva, con Jackson sempre attento e attivo testimone: Bernardo Lanzetti.
Nel corso della serata ci ha ricordato il nome del capostipite del branco vocalist-prog, Roger Chapman, da cui “nacque”, ad esempio, lo stile di Peter Gabriel. Credo che anche Bernardo faccia parta di quella sparuta categoria di eletti, che unisce estensione vocale a timbrica non comune e a sperimentazione, e il suo permanente “studiare” la dice lunga sulla sua grande professionalità.
Oltre al repertorio PFM (vorrei ricordare la grandezza del chitarrista Marcello Chiaraluce in “Out on the roundabout”) ho assistito all’esecuzione di due brani a cui sono molto legato, “Refugees” e “Killer”, “conditi dalla presenza di Jackson, esecutore originale dei due pezzi. Non sto citando canzoni di facile esecuzione, ma che al contrario richiedono concentrazione massima e … voce, tanta voce, e… coraggio, un po’ di coraggio, caratteristiche che di certo non mancano a Lanzetti.
Come al solito non ci sono state delusioni, ma solo conferme.
Cosa dire di Clive Bunker e della Beggar’s, uniti insieme?
Li avevo ascoltati da poco, in quel di Alba, con la rivisitazione del set dell’Isola di Wight, e ancora una volta lo zio Clivio, come viene chiamato dagli “intimi” italiani, ha fatto fermare il tempo, sbalordendo chi non lo aveva mai visto dal vivo o chi lo ricordava con i JethroTull.

Sul palco si è alternato a Calderoni (che ha eseguito Aqualung per la prima volta nella vita) e a Sergio Ponti, e la miscela dei componenti non ha in alcun modo inciso sul risultato, ma lo ha semmai incrementato con vero valore aggiunto.






L’ultima parte a tema era quella dedicata al Banco del Mutuo Soccorso.
Rodolfo Maltese si è ripreso dopo i problemi fisici dello scorso anno, e il suo essere presente, il suo suonare, non potrà che aiutarlo nella completa ripresa. Il pubblico ha gradito e ha a lungo applaudito.
La “terza grande voce” della serata è stata quella di Francesco Di Giacomo.
Non solo musica, ma considerazioni personali, spesso amare e tendenti a evidenziare una sorta di fallimento riservato a tutti quelli che come lui avevano pensato/sperato, che attraverso la musica il mondo poteva essere migliorato, se non cambiato.
A fine concerto un bambino di una decina di anni, partito da Genova col padre, con un CD del Banco in tasca, chiedeva timidamente una firma di ricordo e Francesco, con evidente soddisfazione, domandava al piccolo il nome, per una dedica personalizzata.

Cambiare il mondo era oggettivamente impresa titanica, Francesco, ma il tuo, il vostro, non è stato tempo perso!”.

Contrariamente all’esibizione di Roma, nessun problema per l’ugola e il set è stato ancora una volta emozionante.

Dopo un nuovo “riassunto” della varie band, si arriva all’atto finale, con quel “Non mi rompete” a cui accennavo inizialmente, che ha visto sul palco l’intero gruppo di amici… nostri amici.






Un pieno successo di pubblico, un vero gradimento, e un’altra impresa che viaggia sull’asse Taulino-Castaldo.
E’ vero, questi eventi, numerosi e di qualità, non sono il frutto del lavoro di uno o due persone, e senza impegno e volontà di gruppo ci si ferma alle prime difficoltà, ma senza la scintilla il fuoco non si accende, senza una guida sicura si perde la rotta.
Non possiamo che ringraziare, noi appassionati di musica, per vedere realizzate cose a cui mai avremmo pensato di assistere.
Organizzare un concerto di qualità è cosa difficilissima, e parlo per conoscenza diretta.
Realizzarli senza peso per le tasche del pubblico ( anche in questo nobile caso si trattava di un’offerta) è cosa ardua per chiunque.
Ciò che si riesce a creare in questa zona d’Italia, musicalmente parlando, ha coordinate precise e forse sarebbe bene che i vari organizzatori di eventi, quelli che non hanno in testa solo un tornaconto personale, andassero a scuola da Taulino e amici…

Noi “modesti” amanti della musica, di certa musica, in quel caso, saremmo sempre in prima fila, pronti ad applaudire e ad alimentare la voglia di stare sul placo, giovani e meno giovani, con un unico obiettivo … inutile rimarcare quale!

giovedì 1 luglio 2010

Concerto di Oviglio



Oviglio un anno dopo.
La maggior parte dei musicisti visti in quest’ultima occasione non sono cambiati.
Manca Rodolfo Maltese, ma è presente Lucio “violino”Fabbri. Avrebbe dovuto esserci anche G.L. Tagliavini, ma da queste parti non si è visto e così svanisce la possibilità di ascoltare i brani della PFM interpretati contemporaneamente da tre uomini della line up, vecchia e nuova.
A dire il vero i due rimasti, Lanzetti e Fabbri, si ritrovano sul palco, a stretto contatto, ma è per un tributo a Dylan e Beatles.
Qualche mistero al riguardo aleggia nell’aria … ma sono solo leggende metropolitane … o no?
Dunque un altro sforzo di Franco Taulino e della Beggar’s Farm.
Il doppio ruolo è ormai noto: Franco oltre a suonare è l’ideatore e coordinatore di tutti questi eventi e la Beggar’s è la miglior formazione possibile per qualsiasi musicista affermato e non, una sorta di maestri di alchimia che trasformano in realtà i sogni di pubblico e artisti.
Un grossa nota di merito va anche a Franco Castaldo, che in queste occasioni è bene depurare del ruolo di Prefetto di Alessandria e considerare solo come un “batterista”, amante della musica. Inutile nascondere il fatto che molti( io compreso) hanno storto il naso, ad esempio, vedendolo suonare tra Ian Paice e Clive Bunker, evidenziando un solco incolmabile tra LUI e LORO, ma, se si accantona il rigore che spesso ci accompagna nei giudizi relativi a cose che amiamo molto, e si considera che Castaldo è un grande amante della “nostra” musica, non possiamo che ringraziarlo per l’impegno che mette nel creare i presupposti per la realizzazione di grandi eventi, non dimentichiamo, gratuiti per il pubblico.
Mi ha confessato di essere rimasto un po’ dispiaciuto per un errore su “We used to know”, nel concerto di Volpedo, ma è un peccato veniale.
Ancora una mia considerazione di carattere generale.
In poco più di un anno, la Taulino’s Organisation ci ha fatto vedere artisti che per molti spettatori rappresentano i miti della vita.
Parliamo di membri old and new dei Jethro Tull, e molti italiani, anch’essi spesso“sogni irrealizzabili”.
Queste miscele, come spesso ho raccontato, hanno la prerogativa di presentare un palco amalgamato, e l’integrazione sembra cosa consolidata, anche se magari le prove sono limitatissime. Tutto funziona meglio, secondo me, con “gli italiani”.
Ovviamente avere disponibile un animale da palcoscenico come Bernardo Lanzetti facilita la coesione e favorisce l’interattività col pubblico, per me elemento fondamentale, ma la freddezza, almeno apparente, di certi nomi d’oltremanica, non determina lo stesso risultato visto ad Oviglio.
Volpedo resterà per sempre nel cuore e nella testa dei presenti ( lo stesso Bernardo mi ha raccontato dei brividi provati il 5 giugno), ma anche questa serata si incollerà p tra i miei ricordi musicali migliori:

http://athosenrile.blogspot.it/search/label/Beggar%27s%20Farm-Volpedo%20benefit%20concert-2010

Se potessi quindi dare un piccolo consiglio a Franco, da mero esterno, inconsapevole degli ingranaggi organizzativi relativi a questi concerti, direi che “il percorso italiano” da maggior risultati (e forse riduce i costi), anche se io un Dave Jackson lo presenterei in tutte le salse possibili.
Serata divisa in due parti, con i Black Eden in apertura, come lo scorso anno.
L’arrivo ritardato non mi ha permesso di ascoltarli adeguatamente, ma ho il sentore del gradimento del pubblico più”rockettaro”
L’atmosfera è festaiola, da sagra, tra stand culinari e giochi per bimbi.
Il pubblico appare eterogeneo, anagraficamente parlando, ma è prevalentemente formato da”maturi”… ovviamente.
Devo dire che il paese di Oviglio, possiede un certo fascino antico, amplificato dalla presenza del “reale Castello”, un tempo roccaforte medioevale, acquistato successivamente dalla Regina Cristina di Savoia. Il feeling del turista obbligato (dal concerto) , approcciando il paese, predispone positivamente per una serata serena, fatto non trascurabile.
I miei meeting musicali sono fatti anche di incontri con vecchie e nuove conoscenze, con cui si allacciano rapporti personali e con cui si discute di passato e di progetti futuri.
Nell’occasione ho avuto l’opportunità di conoscere Lucio Fabbri, che per me era già un nome importante quando leggevo le note relative ad alcuni dischi di Finardi, e avevo più o meno vent’anni( e lui poco di più).
Ricordandogli che lo avevo visto pochi anni prima a Savona, con la PFM (primo concerto di mia figlia, allora dodicenne) ho riflettuto sul fatto che dal 2006 ad oggi, il Teatro Chiabrera ha accolto nell’ordine, una per anno, le seguenti formazioni:

PFM, BANCO,ORME,OSANNA.

Ciò che per me era il prog italiano della prima ondata è tornato sul luogo del delitto a distanza di 35/40 anni.
Il prog continua a “tirare”, e anche questi possono essere spunti di riflessione per mister Taulino!
Il concerto si apre col primo ospite, Aldo Ascolese.
So che non è al pieno della forma, per un malessere del giorno precedente, ma nessuno nota defaillance e De Andrè si materializza sul palco.
Look tra il pirata e il vecchio uomo di mare genovese, Aldo presenta la sua timbrica innaturale (nel senso della somiglianza con Fabrizio) e regala a un pubblico più “montano” le storie del porto di Genova e dei vicoli di via Prè. Apparirà in due tempi distinti, regalandoci brani come “Creuza de ma” , “Un giudice”, “Il pescatore”, "Bocca di rosa" e “ Volta la carta”. In alcuni frammenti, la sua voce e la sua chitarra si intrecceranno col violino di Fabbri per far rinasce la magia del tour PFM/De Andrè.
Aldo non è solo musicista, ma ha anche una grande passione per la fotografia, e l’immagine più significativa, dalla mia posizione defilata, sul lato destro del palco, è quella di una testa da bucaniere su cui si erge un violino ed il suo archetto, mentre la nostra storia musicale ritorna con forza sul palco.



Il secondo ospite è ormai il denominatore comune di tutte le invenzioni di Taulino.
Parlo ovviamente di Bernardo Lanzetti, “The Voice” .
Incontro un suo vecchio fan che mi da la sua chiave di lettura che condivido in pieno.
Le cose che colpiscono di lui, dal punto di vista tecnico, sono le enormi capacità vocali, la timbrica particolare, la sua voglia di sperimentare; ma ci sono elementi che completano il personaggio e lo rendono unico.
Bernardo è un trascinatore, e tra la gente è esattamente quello che vediamo on stage, una persona semplice, che ama il contatto con uomini e donne, l’ ideale per la realizzazione dell’interattività tra pubblico e artista.
Presenta alcuni brani della PFM (Traveler, Harlequin, Chocolate King, Maestro della voce, Dolcissima Maria), dei Beatles (Norwegian Wood, con Fabbri) di Dylan (Hurricane, ancora con Fabbri).
Nel suo show personale troviamo un po’ di tecnologia applicata alla voce, quando indossa il glovox (captatore di frequenze derivanti dalle vibrazioni delle corde vocali, poi trasformate in suoni ), ma le chicche dialettiche continuano, e si mischiano al pubblico quando scende dal palco con l’ asta del microfono e coinvolge tutti in un ritornello corale.



Il terzo ospite è Lucio Fabbri, il “violino “ per antonomasia.
Attacca con Bourée. Non avevo mai sentito una versione del genere e cerco di registrare il più possibile.
Questo brano, ascoltato mille volte da Ian Anderson e da chi lo coverizza, mi porta a riflessioni sull’unicità di certi strumenti all’interno della famiglia del rock. Flauto traverso e violino sono rimasti strumenti di settore, non introducibili in tutti gli svariati contesti che il mondo del prog ha proposto, ma l’utilizzo che Lucio Fabbri fa del suo strumento rende tutto apparentemente semplice, superando quel muro concettuale che relega il violino a puro strumento classico.
Mi piace, mi diverte e si diverte Lucio, e i suoi fraseggi mi riportano alle collaborazioni con Finardi e conseguente mente alla mia giovinezza.
Una chicca è “Hurricane”, dove “il violino e the voice” duettano alla grande, col pubblico attento e pronto a sottolineare i passaggi con applausi e contenute grida di approvazione.



Nessuno dei miei soliti compagni di viaggio mi ha seguito a Oviglio, e ha perso un grande spettacolo.
Il punto di vista di uno spettatore è spesso contrastante con quello di chi si esibisce.
Mentre il primo privilegia maggiormente il clima generale ed è felice se qualche brivido è partito dalla nuca ed è arrivato sino in fondo, il secondo è più critico, tecnicamente parlando, e memorizza i piccoli errori di cui è stato protagonista.
Questa sera di brividi ne ho sentiti parecchi, e non importa se spesso coincidono col fatto che qualche vecchio ricordo è riaffiorato … anche questa è un’importante funzione della musica.
L’ultimo di questi “fremiti” arriva in concomitanza col bis, quando cioè tutti i protagonisti della serata salgono sul placo per regalare l’ultima chicca, “Hey Jude”, con Lucio Fabbri alla chitarra.
Ancora un elogio alla Beggar’s Farm, diventata ormai la band che ho visto più volte nella mia “carriera”. E con loro i magnifici giovani che Franco Taulino propone a piccole dosi, spettacolo dopo spettacolo, preparando forse la formazione del futuro.
Chiaraluce, Garavelli, Ponti, Valle … bravi, puntuali, con una dote rara, quella di mettere tutti nella situazione di dare il meglio, senza cercare il protagonismo. Eppure loro sono protagonisti!

mercoledì 6 maggio 2009

Intervista a Bernardo Lanzetti, di Athos Enrile



Come ho già avuto modo di raccontare da questo spazio, pochi giorni fa ho partecipato ad bel concerto ad Alba, il cui resoconto è fruibile all’indirizzo:


Nell’occasione ho conosciuto Bernardo Lanzetti.
Per chi volesse approfondire la biografia di questa incredibile” voce”, rimando al link:


Fantastica la sua disponibilità, e alla mia solita domanda relativa ad una possibile intervista, risponde subito positivamente.
Immaginando il suo “mondo” di impegni mi limito ad una decina di quesiti e… dopo 6 ore ricevo la mail di ritorno. Davvero una sorpresa.
Personalmente mi sento in colpa per essere rimasto fermo al Lanzetti della PFM. La sua voce credo sia tra le migliori in assoluto e la sua voglia di sperimentare e percorrere nuove strade dovrebbe essere un insegnamento per tanti.
Recupererò il tempo perduto, occupandomi anche delle varie diramazioni, vedi Mangala Vallis presenti nel filmato a seguire.


L'INTERVISTA

Giovedì ad Alba ho provato una grande emozione. Ho visto tante collaborazioni da mero palcoscenico, ma ciò che mi è arrivato in quella occasione è la voglia di regalare musica di qualità, senza ricercare la visibilità a tutti i costi, senza l’urgenza del mettersi in evidenza, forse più tipico dei giovanissimi. Ammesso che tutto questo sia vero, quali sono le differenze che esistono tra il "vostro" muovervi nel mondo musicale attuale rispetto agli anni 70?

Alcune cose che mi vengono in mente sono: la comprensione più profonda di aspetti musicali in precedenza vissuti solo d'istinto, il consapevole rispetto per il passato e per i colleghi, la gioia di essere su un palco per una performance più vera.

Come ti accennavo ad Alba, ti vidi con gli Acqua Fragile come “spalla” dei Gentle Giant: c’era solo da imparare da loro, dai Van Der Graaf, dai Genesis, o già a quei tempi sarebbe potuto avvenire un mutuo scambio di conoscenze musicali?

Occorre spiegare che in Italia, fino alla fine degli anni '60, ai musicisti e in particolare ai gruppi, alle band, era di fatto impedito dalle case editrici/discografiche un accesso creativo alla composizione/registrazione per cui solo da "Collage" delle Orme è stato possibile iniziare un processo artistico moderno, partendo praticamente da zero. In quel frangente, la metodologia, l'approccio alla composizione, all'arrangiamento, il come realizzare una copertina, insomma tutto quanto veniva imparato da modelli anglosassoni di riferimento. Persino l'organizzazione tecnica, societaria e fiscale era da costruire ispirandosi a coloro che destavano la nostra ammirazione. Ritengo uno scambio alla pari prima degli anni '70 praticamente irrealizzabile, mentre due sere fa è stato ad esempio possibile per il sottoscritto, con i Mangala Vallis, fare un fantastico concerto con il da te citato David Jackson e la sua formidabile musicalità. 



A tutte le persone che hanno vissuto in diretta il prog mi viene da chiedere la seguente cosa, elaborata nel corso dell’ultimo anno. Credo che la musica progressiva, quella che più amo, sia di difficile parto, di complicata esecuzione e ascolto non immediato. Ciò mi porta a dire che questa tipologia di musica non poteva durare molto perché pare che si abbia bisogno di easy listening e fast sings. Che giudizio dai di questa parte di “storia musicale” e che spazi prevedi per il futuro?

Eccoti alcuni dei miei pensieri...
La Musica non è per tutti e soprattutto non per le masse.
La Musica non è solo la musica registrata ma soprattutto quella eseguita dal vivo.
Se la musica è "un arte dell'uomo per l'uomo", allora è bene che si ricordi che l'uomo è un essere, un animale complesso, e di certo una musica con peculiari difficoltà, formati non standard, interpretazioni intense, registrazioni sperimentali e altro risulta essere l'arte che accompagna l'uomo e meglio ne descrive la storia e il mondo psico-fisico. L'arte, e la musica in particolare, devono tornare ad essere una forma di ribellione intellettuale, che obblighi l'establishment a cambiare per evolversi.
Esempio: Le radio e le televisioni devono arrivare a sentire l'esigenza di cambiamenti profondi nelle forme e nei contenuti come ne andasse della loro stessa sopravvivenza. Difficile prevedere un futuro se almeno il 50% della popolazione non rinuncia totalmente alla televisione (provocando il crollo degli introiti pubblicitari) in favore di realtà più umane e intense.

Rileggendo la storia dei gruppi storici è facile trovare cambi di umore, discussioni, modifiche alle formazioni. Senza entrare in nessun tipo di polemica, che giudizio dai, in sede di bilancio, del tuo periodo passato con la PFM?

Il mio primo periodo con quel gruppo ancora vibrava per il progetto teso a "cambiare il mondo con la musica". Sperimentare e mettersi continuamente alla prova era il modo di procedere. Storicamente, a livello musicale, è possibile sia stata una forzatura per il nucleo originario dover "avere un cantante", perché la loro bravura strumentale, originale marchio di fabbrica, tuttora si accompagna a una superficialità per gli episodi vocali, atteggiamento che a volte sembra rasentare il disprezzo per le parole e il cantato.

Quando penso all’Inghilterra di fine anni '60 mi vengono in mente miriadi di artisti emersi contemporaneamente e arrivati tutti al successo, e magari ancora in auge dopo 40 anni. Perché ciò non avviene più? Crisi di talenti, di idee, star system soffocante? E’ solo un fatto di businnes?

Oggi i media hanno disintegrato il pubblico e moltiplicato i finti artisti, "bruciando la candela" a entrambe le estremità.

Pochi giorni fa ho ascoltato artisti autorevoli legittimare le canzoncine di Sanremo, evidenziando che chi le propone ha quel tipo di richiesta e soddisfa una larga parte di pubblico. Qual è la tua posizione rispetto alla musica di disimpegno?

Questa di dare al pubblico ciò che vuole è una grande BALLA. Per quanto è dato a chiunque di sapere, il pubblico vuole soldi, sesso, potere e sostanze eccitanti, e allora perché i santoni dei media non pianificano di scaricargliene addosso una valanga? Più semplice "nobilitare" la musica di di disimpegno, quella per occupare il mercato e tenere fuori gli artisti, contrabbandandola come vitale per la sopravvivenza dell'umanità.

L’altra sera ad Alba ho visto un Lanzetti istrione e trascinatore. Qual è il tuo rapporto con il pubblico in platea? Quanto è condizionante ai fini della riuscita di un concerto il feeling che si instaura con chi hai davanti?

Il rapporto con il pubblico è sempre molto articolato. Per non dilungarmi si può scherzosamente citare... sai quel Billy Shakespeare: "In ogni tragedia deve esserci un pò di commedia e viceversa...".

Ho visto per la prima volta usare il Glovox. Da dove nasce la tua passione per la sperimentazione e per la tecnologia?


Gli anni '80 hanno segnato l'inizio dei cantanti-immagine e un primo declino dei cantanti-voce. Nel deserto della discotecomania ho trovato conforto e stimolo nella ricerca dell'elettronica applicata alla vocalità. Posso dire di essere stato un pioniere nel campo, e tuttora alcuni dei miei studi e applicazioni rimangono singolari.


Ieri sera il mio bambino di 12 anni canticchiava “Morning comes” che abbiamo ascoltato il giorno prima in auto. A mio modo cerco di trasmettere ai miei figli quella che giudico buona musica. Anche tu hai a cuore la diffusione della “tua” musica verso i giovani? Cerchi di seminare campi ancora aridi?

Più che altro ho a cuore un mio approccio alla musica, e in modo particolare al canto. Nel mio repertorio, ancora eseguo brani imparati una cinquantina di anni fa. Sento di non dovermi stancare perché ogni volta che canto tendo una mano ai grandi maestri del passato e del presente, mentre l'altra mano si apre al futuro, e il mio essere si rivolge al cosmo intero.

Puoi raccontare qualcosa a proposito del tuo presente musicale e dei progetti futuri?

A brevissimo, il 3 maggio, sarò negli Stati Uniti, al Rosfest di Filadelfia, con il gruppo Mangala Vallis. Al ritorno riprenderemo a lavorare al nuovo album. L'estate spero mi vedrà in giro con le varie formazioni in cui milito o che mi arruolano come ospite speciale. Sto anche lavorando a nuove composizioni secondo un mio particolare metodo che permette di iniziare il lavoro senza strumenti musicali o registratori di sorta. Intendo anche sviluppare una forma di registrazione che prevede un posizionamento di "brandelli di sound" su cui organizzare la tessitura vera e propria della composizione. Spero di poter continuare ad allargare il campo della percezione della mia vocalità, nonché la confidenza nelle corde vocali e nel corpo tutto, per sviluppare la mia voce sorprendendo anche me stesso, come è già accaduto in questi ultimi anni.






lunedì 27 aprile 2009

Musica prog e globalizzazione


Parto dal titolo, cercando di svelarne l’apparente stranezza, in questo contesto.

Il termine “globalizzazione”, usato ormai ovunque e da chiunque, reca in sé il concetto di avvicinamento tra mondi lontani, di facilità nelle relazioni sociali, arrivando sino ad una sorta di interdipendenza.
Tutto ciò è riferito al campo economico, sociale, culturale e ideologico, con lo scopo di uniformare, superando barriere fisiche e metafisiche.
Tutti prevedono, inveiscono o gioiscono, ma nessuno è capace di dire dove realmente andremo a finire.
Assistendo al concerto di Alba, il 23 aprile scorso, mi sono fatto un’idea precisa (magari forzata dal mio stato di “addicted to music” ) di cosa voglia dire esperienza musicale globalizzante.
Nella musica, se è solo la musica l’oggetto, tutto è possibile e trovo conferme su conferme a concetti in me radicati, esprimibili con la seguente frase di sintesi:” La musica è in grado di abbattere ogni tipo di barriera”.
Non è una novità vedere artisti differenti su di un palco, e le collaborazioni, le jam più o meno estemporanee, sono sempre state elemento fondamentale delle rappresentazioni rock.
Ma non è nemmeno scontato che musicisti di valore, magari con passioni e passato comune, debbano necessariamente avere unità di intenti.
L’ultima convention dei Jethro Tull , ad Alessandria, ha evidenziato tante cose pregevoli, ma ha anche dimostrato a noi fan presenti, che la “formazione” sul palco deve tenere conto di equilibri che spesso non hanno niente a che vedere con la musica, e la gestione degli uomini, come spesso accade nella vita di tutti i giorni, diventa la vera difficoltà del momento.
Ad Alba ho visto la perfezione di intenti che sintetizzerei con lo slogan: “un unico obiettivo per tutti”.
Ecco svelata l’idea del titolo iniziale.
Il risultato è stato grandioso, sottolineando che per me la grande performance non é quella tecnicamente perfetta, ma quella che ti lascia qualche brivido alla fine del bis, quella sensazione di leggera ebbrezza con cui si convive per tutto il viaggio di ritorno.
Io questa euforia l’ho mantenuta da Alba a Savona.
Ma chi c’era sul palco?
Basta suspence.
Il cartellone prevedeva l’esibizione della Beggar’s Farm, come spesso accade con Clive Bunker, con l’aggiunta di due pilastri del prog italico, dall’illustre passato e dal luminoso presente: Rodolfo Maltese e Bernardo Lanzetti.
Prima di parlare dell’aspetto musicale vorrei raccontare la mia sorpresa al cospetto dell’organizzazione, che fa capo ad un club di fan dei Jethro Tull , la maggior parte dei quali, della città di Alba.
Avevo letto e sentito di “appassionati tullici”, in quella zona, ma mi ero fatto l’idea di una piccola entità tenuta unita dal solito collante che noi amanti dei Jethro conosciamo.
E invece ho trovato qualcosa di molto organico, e sono rimasto sorpreso nel sapere che quello che pensavo fosse un gruppetto è in realtà formato da 129 persone (io sono stato il 130esimo ad iscrivermi).
Grazie all’intraprendenza di questi “soci”, il fanclub si muove in maniera autonoma, organizzando eventi “privati”, più volte nell’arco dell’anno.
In questo caso specifico l’evento è stato identificato come “Tribute Festival”, all’interno del contesto “VINUM” e si è svolto all’Auditorium Fondazione Ferrero.
Sottolineare che l’ingresso era gratuito mette in rilievo la capillare cura dei particolari organizzativi.
Complimenti!
Un po’ di cronaca.
Arrivo un ‘ora prima del concerto e contatto Wazza Kanazza, in bilico tra la passione Jethro e quella Banco.
Mi introduce nei meandri del backstage e saluto Franco Taulino e Andrea Vercesi, i Beggar’s che conosco personalmente, e Wazza favorisce il mio contatto con Rodolfo Maltese e Bernardo Lanzetti, mentre Clive Bunker è in un angolino a ripassare i passaggi di cui sarà protagonista di li a poco.
Ecco qui un altro aspetto della globalizzazione a cui accennavo, fortemente influenzato dalle nuove tecnologie!
Mi trovo davanti personaggi di cui mi nutrivo attraverso le pagine di Ciao 2001, inarrivabili, lontani continenti da me. Ora è possibile scambiare due parole, incrociare le mail e strappare la promessa di un’intervista futura.
Persone semplici, nonostante facciano parte della storia della nostra musica, e questo la dice lunga sul lato umano.
Il teatro contiene forse 300 persone e i posti sono quasi tutti occupati.
Mi siedo molto decentrato, in galleria, in una posizione adatta alla realizzazione di qualche ripresa video, ma la visuale è ottima ovunque.
Ritorno al titolo.
L’idea che mi ero fatto, leggendo i nomi degli artisti, era quella di esibizioni separate, stratificate per genere, con qualche occasionale compartecipazione, magari alla fine.
E invece no.
Non ho visto nessun tributo ai Jethro Tull, ma ho visto un più elevato tributo alla musica prog, con la miscela tra frammenti storici italiani e andersoniani.
Nonostante Taulino a fine concerto mi abbia detto di aver avuto poco tempo per provare, tutto sembrava molto ben studiato nei minimi dettagli. Forse è normale che dei professionisti raggiungano l’intesa in poco tempo, ma a me non sembra una cosa scontata.
Il nocciolo duro on stage è rappresentato dalla Beggar’s, davvero professionali nell’oscillare tra i vari repertori, e la giovane fiatista presente in un paio di brani contribuisce con gusto alla loro realizzazione .
Lanzetti provoca i primi brividi quando inizia con : “…Can you tell me where my country lies…”
Chiudo gli occhi e ritorno indietro nel tempo!
Grande emozione per una voce che reputo tra le migliori, e non solo entro i nostri confini.
Si prosegue con altri brani Genesis (Firth of Fifth) , PFM( Traveler, Chocolate King e Impressioni di Settembre), Lanzetti (The Battle), BANCO (Non mi Rompete, R.I.P., E mi Viene da Pensare) , il tutto infarcito da canzoni dei Tull( Serenade to a Cuckoo, Bourèe, Aqualung).
Sembrerebbero “episodi” entro la norma, ma non è così.
Sentire R.I.P., per esempio, con Bernardo alla voce, Clive che aumenta il ritmo come un forsennato mentre Rodolfo lo osserva tra lo stupito e il divertito…non è cosa da tutti i concerti!
Vedere Maltese che suona la chitarra in Aqualung è fatto almeno inusuale!
E pensare a Bunker impegnato in passaggi “morbidi” in Impressioni di Settembre è un altro miracolo!
PFM, BANCO, Jethro Tull, Genesis… la “nostra “ musica più cara rimescolata e distribuita ad attori diversi, che la apprezzano, e la restituiscono carica di significati.
Questa è la globalizzazione che ottiene successo!
E in tutto questo c’e’ lo spettacolo, c’è Clive che scimmiotta se stesso, e c’è un Bernardo Lanzetti che incita il pubblico, esageratamente composto, e si dimostra un uomo da palcoscenico.
Grande novità per me l’impiego del Glovox, uno strumento che richiede l’utilizzo di un guanto collegato elettricamente ad un collare che sfrutta le vibrazioni delle corde vocali e le trasforma in suoni inusuali.



La regia è ben salda nelle mani di Franco Taulino, flautista, cantante, ma non solo.

Oltre al già citato Andrea Vercesi alla chitarra acustica, sul palco c’erano Marcello Chiaraluce alle chitarre, Kenny Valle alle tastiere, Andrea Garavelli al basso e Sergio Ponti alla batteria.
Dopo i ringraziamenti dell’organizzazione il bis di rito, e lo spettacolo si conclude con Locomotive Breath.
La magia finisce, tutti sono soddisfatti e si apre una bottiglia per brindare al successo dell’evento.
Forse è stata aperta una nuova strada, o più semplicemente è stata vinta una piccola sfida.
Ci si muove spesso con motivazioni differenti, ma in questo caso nessuno, credo, abbia da lamentarsi del risultato finale.
Tempo permettendo, mi aspetta un altro “Beggar’s+ Clive “ ad Arenzano, a due passi da casa, Teatro Italia all’aperto, dopo pochi giorni.
Saluto prima di congedarmi e racconto a Bernardo di averlo visto a Genova, nel ’73, con gli Acqua Fragile, spalla dei Gentle Giant, e lui” ..ma allora ti ricorderai che in quell’occasione ho mandato a quel paese…”
Bella serata… davvero una bella serata!