Parallelismi: Lanzetti
e suoi “Numi Tutelari”
di Alberto Sgarlato
Quando si parla di
cantanti italiani che hanno lasciato un segno indelebile nel rock prodotto
nella nostra nazione indubbiamente uno dei primi nomi che salta alla mente è
quello di Bernardo Lanzetti. Per innumerevoli motivi, certo, che vanno dalla
tecnica alla bellezza timbrica, ma soprattutto perché ha svolto un ruolo
davvero pionieristico nell’allontanare le sonorità della “musica leggera
italiana” (all’epoca la si chiamava così) da quell’alone di provincialismo che
fino a quel momento l’aveva contraddistinta, per importare stili e modelli
all’epoca davvero inediti (frutto anche delle esperienze da lui accumulate
all’estero). Inoltre, mentre altre bands di prog-rock italiano facevano “anche”
i dischi in inglese (affidandosi anche a parolieri illustri, come Pete Sinfield
dei King Crimson nel caso della PFM), traducendo brani già editi in italiano, o
inserivano un’alternanza di tracce in inglese e in italiano (si pensi a
“L’Uomo” degli Osanna), Lanzetti sceglieva coraggiosamente l’idioma
d’Oltremanica come mezzo comunicativo d’elezione. Ma nell’esaminare la carriera
di un artista non si può prescindere da un’attenta analisi dei predecessori che
maggiormente l’hanno influenzato: del resto ogni forma d’arte, ogni espressione
creativa è, a suo modo, frutto dell’evoluzione di linguaggi precedenti. Così
come Chris Squire degli Yes non ha mai nascosto la propria ammirazione per John
Entwhistle degli Who e Keith Emerson ama citare i compositori russi e dell’Est
Europeo a cavallo tra ‘800 e ‘900, solo per fare un paio di esempi, ovviamente
anche Bernardo Lanzetti, nelle sue esecuzioni vocali, lascia trasparire delle
affinità con altri cantanti che hanno lasciato un segno tangibile nella storia
del rock.
E parlando di
Lanzetti, ovviamente, il primo nome che viene in mente è quello di Peter
Gabriel nel suo periodo con i Genesis. Se lo ascoltiamo attentamente, il primo
elemento caratteristico di Gabriel è la dizione, davvero particolare. Nelle sue
strofe, parole anche apparentemente comuni assumono toni ieratici in base a
come vengono pronunciate. Le vocali sono sempre lunghe e aperte, sembra quasi
che “L’Arcangelo” (come veniva soprannominato in Italia negli anni ’70, per via
del suo cognome) queste vocali le “arrotondi” in bocca, tenendole calde per poi
farle esplodere incidendo drammaticità. Facendo un paragone con un altro
grandissimo del suo tempo, anche Peter Hammill ha queste vocali lunghe, ma il
leader dei Van Der Graaf invece le scandisce, secche, violente, usandole come
trampolino di lancio per certe consonanti, come le nasali (fate caso a come
Hammill pronuncia la parola “alone”, quasi un suo marchio di fabbrica). Per
questo Hammill è poco accomunabile a Lanzetti: il cantante dei VDGG è più
oscuro ed inquietante nelle sue interpretazioni. In Gabriel, al contrario,
queste vocali “rotonde” addolciscono (all’opposto che in Hammill) anche le
consonanti: la L o la S trema, quasi incerta, nella sua voce, contribuendo a
quel tocco di malinconia di certe atmosfere. Chi ha visto dal vivo le più
fedeli tribute-band dei Genesis avrà notato che tutto ciò impone nei
cantanti-clone un certo sforzo muscolare: per riprodurre la scansione del
cantante di riferimento i suoi emuli sono costretti a contrazioni del viso, tensioni
delle labbra e delle guance. Ciò avviene non solo nei tributi, ma anche in
certe bands di new-prog che si impongono di riproporre in tutto il modello
gabrielliano, si pensi a nomi come i Citizen Cain o gli Agents of Mercy. Tutto questo in Bernardo Lanzetti non è
affatto vero: le sue interpretazioni vocali sono spontanee, naturali, prive di
ogni forzatura. E pare quindi che certe sue similitudini con uno dei cantanti
più amati del prog-rock siano un vero dono di natura. Negli Acqua Fragile sono
soprattutto le costruzioni chitarristiche più acustiche e gli arpeggi
dell’organo a sottolineare una parentela con i momenti più delicati dei
Genesis, quelli di “Trespass” e di “Nursery Cryme”. Nell’album “Chocolate
Kings” della PFM, che ci propone invece per molti tratti un Lanzetti più rock,
succede una cosa strana: riascoltando oggi la title-track balzano subito alla
mente delle similitudini con Fish, l’ex-cantante dei Marillion, che però,
rispetto al disco della PFM, giungerà agli splendori della ribalta quasi 10
anni dopo! Che sia Fish ad aver ricevuto una mai dichiarata influenza di
Lanzetti? Non a caso spesso l’ex-leader dei Marillion è stato definito,
soprattutto a inizio carriera, il Nuovo Gabriel. Ma qui c’è un ulteriore
elemento di sorpresa: Fish, infatti, è scozzese di Edimburgo, quindi siamo di
fronte ancora a un altro tipo di pronuncia. Dalla fine dell’esperienza con la
PFM in poi, per la verità, Lanzetti si è sempre più affrancato dall’influenza
gabrielliana, “rispolverandola” soltanto in tempi recentissimi con il progetto
CCLR, complici i crescendo di mellotron dell’ottimo Cristiano Roversi, che in
più di un caso tradiscono una devozione verso Tony Banks. Ma ritorniamo in
Italia. E parlando di rock, di Italia, ma soprattutto di voce, non si può non citare
Demetrio Stratos che, nonostante fosse un greco nato in Egitto, quando ha
sfondato come cantante era da tempo naturalizzato italiano. Nell’arte in
generale e nella musica in particolare è sempre abbastanza insensato e anche
piuttosto brutto parlare di “il disco più bello” o “il musicista più bravo”,
perché non è giusto fare delle gare laddove entrano in ballo criteri di
emotività, sentimento, soggettività. Ma stavolta, dicendo che Demetrio Stratos
è stato uno dei più grandi cantanti al mondo, non si deve aver paura di
sbagliare o di esagerare: da un punto di vista tecnico, infatti, Stratos è
riuscito a portare avanti esperimenti sulla diplofonia (controllare le diverse
vibrazioni delle corde vocali in modo da generare più suoni simultanei) e
sull’estensione dal sovracuto al gravissimo che in pochi altri al mondo hanno
condotto (tra cui l’americana Diamanda Galas, guarda caso anch’essa di origine
greca… che ci sia l’aria buona per la voce, da quelle parti?), mentre sotto
l’aspetto interpretativo un po’ di Stratos c’è in tutti i cantanti italiani
venuti dopo di lui. Bernardo Lanzetti da Stratos ha saputo imparare la
sobrietà. In che senso? Nel senso che Stratos nelle sue interpretazioni più
melodiche (non in quelle sperimentali) era sempre molto enfatico nel suo
cantato. Ma sapeva esserlo con gusto e con un grande senso della misura. Tutti
quelli che sono venuti dopo, attingendo da questa fonte, hanno esagerato
risultando così spesso sgraziati, innaturali o persino al limite della
caricatura (avrei in mente diversi paragoni, ma non voglio querele…). Lanzetti
ha avuto l’intelligenza e la sensibilità di cogliere le sfumature di pathos
(parola greca!) di Stratos (scusate la rima) restando sempre entro i limiti più
consoni.
La storia del rock è
fatta di artisti che entrano nel cuore di tutti e di altri che, chissà perché,
conquistano più l’interesse degli “addetti ai lavori”, cioè di chi fa musica,
più che del grande pubblico. Questo è un po’ il caso di Roger Chapman, cantante
inizialmente dei Family e poi di diversi altri progetti solisti. Da “Chappo” il
nostro Bernardo Lanzetti ha acquisito le componenti più “acide” della sua voce:
l’uso del tremolo soprattutto sulle note lunghe e sui toni alti e un graffiato
nella voce che rende Lanzetti (come lo stesso Chapman) più vivacemente “black”
rispetto ad altri artisti del prog italiano, nei quali la componente della
musica nera era ben più irrilevante. Del resto Bernardo è uno che da ragazzo in
America accendeva la tv (lo racconta lui stesso) e scopriva la magia del soul,
del rhythm’n’blues, delle cantanti che ballavano scatenate davanti alle
telecamere, mentre in Italia avevamo ancora il Sanremone in bianco e nero con i
Claudio Villa in giacca e cravatta. Era inevitabile che, in quel boom d’amore
che la nostra nazione negli anni ’70 tributava al rock progressivo, Lanzetti
riuscisse a instillare gocce di sound nero, come del resto in Inghilterra
facevano i Traffic, i Colosseum e, appunto, proprio i Family di Roger Chapman.
Ma c’è ancora un
“outsider” che merita di essere citato come ispirazione, consapevole o
inconsapevole, di Bernardo Lanzetti: quando si parla di Gentle Giant viene
quasi sempre messa in luce la loro impressionante abilità di polistrumentisti,
o la perizia nel costruire armonie vocali ineccepibili, e ingiustamente si
trascurano le loro ottime doti timbriche come solisti. Eppure erano cantanti di
grande carisma interpretativo, soprattutto Derek che, fra i tre fratelli e il
tastierista Kerry Minnear, anche lui cantante solista, era quello più “nero”.
Non a caso Derek era stato, da giovanissimo, cantante solista proprio di una
soul e rhythm’n’blues band, che si chiamava Simon Dupree & the Big Sound e
questo suo amalgama di grinta da soul-singer ed enfasi interpretativa tipica
del prog lo si può ritrovare anche in Lanzetti. Non ci credete? Provate ad
ascoltare in sequenza la seconda parte di “Peel the paint” dei Gentle Giant, su
“Three Friends”, quella più dura, cantata proprio da Derek (mentre l’intro, più
intimista e meditativa, la canta Phil), e poi ascoltate “Comic Strips”, degli
Acqua Fragile: il mood che attraversa i brani è lo stesso, la carica di rabbia
infusa da Lanzetti nelle sue parti soliste è vicina alle impennate shulmaniane
e le armonie vocali regalano costruzioni non poco vicine a quelle dei Gentle
Giant.