giovedì 5 ottobre 2017

Incontro con Franz Dondi, di Andrea Pintelli

Acqua Fragile e Gentle Giant

FRANZ DONDI: FRA “MOSCHETTIERI”, “ROCKY’S FILJ”, “ACQUA FRAGILE” E FUTURO
di Andrea Pintelli (marzo 2017)


ARTICOLO APPARSO SU MAT2020 DI APRILE 2017

Parlare di Franz Dondi è come passare in rassegna i migliori momenti musicali che Parma ha vissuto nel corso dei decenni che vanno dagli anni sessanta ad oggi, è accorgersi nuovamente che questa città visse di meraviglie anche al di fuori della solita Lirica, è fotografare un uomo che del basso elettrico ha fatto la propria missione nel corso della sua vita. Persona dal carattere affabile, sincero e amichevole, Francesco Dondi (per tutti Franz) è per la nostra città un artista che trascende le mode e gli interessi, siccome ha attraversato vari generi musicali col suo strumento sempre a tracolla. Inizia coi “Moschettieri” (ex “Clan G”) a metà anni sessanta, in piena era Beat, coi quali riesce a pubblicare un 45 giri (“Un’anima perduta” / “Quando il tempo dell’amore”), ottenendo un certo successo grazie a tanti concerti. Ad inizio anni settanta forma i “Rocky’s Filj” insieme a Maurizio Mori, Giacomo Fava, Rubino Colasante e Roberto “Rocky” Rossi, coi quali suona fino a metà 1971, quando insieme a Mori e all’ex “Moschettieri” Gino Campanini, si unisce a Bernardo Lanzetti e Piero Canavera e forma i grandissimi “Acqua Fragile”, uno dei gruppi cult dell’era Progressive italiana. Con loro incide due gioielli di LP, il primo, omonimo, del 1973 e “Mass Media Stars” del 1974, partecipa a immortali e importantissimi festival musicali di quegli anni, facendo anche da spalla ai giganti stranieri, fino allo scioglimento avvenuto nel 1976. Successivamente rientra nei “Rocky’s Filj”, i quali, oltre che ai loro live, accompagnano tournèe e spettacoli di vari artisti italiani, fra cui spicca Bobby Solo, col quale arrivano a suonare niente meno che al Madison Square Garden di New York dopo un tour in vari paesi oltreoceano. Dopo la band “Bass Brothers”, entra nel 1986 negli “Shout!” i quali ripercorrono le gesta dei Beatles, per poi arrivare a incidere due gradevoli CD negli anni novanta (“A corner of Heaven” del 1996 e “I’ve got a Feeling” del 1999, con inediti). Preparatissimo, non solo musicalmente parlando quindi, è sempre un piacere incontrarlo per discorrere con lui, quasi sempre nella sua storica birreria, aperta nel 1982, dal nome ch’è tutto un programma: “La Corriera Stravagante”, locale che, oltre al buon cibo, ha offerto tanti e ricchi concerti di jazz, blues, rock e cantautorato d’autore (Vinicio Capossela, per esempio, ha esordito proprio qui). Creata e gestita col fratello Lorenzo e con la cognata Donatella, rappresenta uno dei locali più gettonati delle nostre parti, in cui è godibilissimo lasciarsi trasportare da quell’atmosfera fuori dal tempo che i proprietari sanno sistematicamente trasmettere. Sì perché Franz non è il solo ad essere “artista” in famiglia: Lorenzo è un geniale pittore, autore di diverse mostre personali di grande successo. Entrambi, comunque, sono liberi pensatori, e non solo formalmente. Per darne una prova tangibile, ecco l’intervista da me raccolta pochissimo tempo fa col “Basso” parmigiano per eccellenza.

Franz Dondi

A: Ciao Franz. Raccontaci i tuoi inizi, cosa ti spinse ad avvicinarti alla Musica e in particolare al basso.
F: Una scuola; la Felice Corini, un gruppo di ragazzi e ragazze uniti da forte amicizia, un professore di tecnologia giunto da Torino che faceva da catalizzatore e da apportatore di idee nuove, altri professori di supporto e i fantastici anni ’60 che ci scorrevano sotto i piedi e ci entravano prima piano, piano poi impetuosamente nella testa e nel cuore portando alla luce della nostra coscienza i bagliori di un nuovo mondo. Cominciammo per gioco a scrivere canzoncine da dedicare alle ragazze del gruppo, si inventavano melodie regalate all’aria, solo un ragazzo sapeva suonare un poco il pianoforte e si andava a casa sua. Io giocavo a pallone pensando che quello fosse il mio destino. Mi sbagliavo. Ero una brava e veloce ala destra, andai a Milano per un certo periodo chiamato dall’Inter. Ma presto fattori economici e nuove sirene mi riportarono in quel di Parma dove con il mio compagno di viaggio Gino Campanini, anche lui facente parte del gruppo scolastico di cui prima, chiamato Clan G, acronimo di Giuseppe Gualazzini, il professore di Torino, iniziammo seriamente a pensarci e a vederci come musicisti. Lui scelse per primo; disse, “chitarra io”, non ricordo bene il perché o il per come ma mi lanciai sul basso. A quei tempi chi suonava diventava una ambita preda dei primi pruriti sessuali femminili. Così fu.     
A: Coi Moschettieri faceste da supporter niente meno che ai Rolling Stones: siccome sono indelebili, raccontaci quei momenti.
F: Il Gualazzini, come un Brian Epstein in erba, stimolato dalla nuova realtà musicale in continua evoluzione - si ascoltavano a tal proposito le varie radio che ci tenevano informati su ciò che accadeva in UK -, decise, vedendoci belli tosti, di tentare questa nuova strada. Convinse una professoressa che cercava di insegnarci francese con poco successo, anche lei parte del Clan G, a investire sul nostro futuro. Con un malloppo consistente ci presentammo alla ditta di strumenti musicali Davoli di Parma, a quei tempi probabilmente la più grande d’Europa ma cosa importantissima promotrice della prima e unica tournéè italiana dei Fab For con in cantiere, come seconda quella dei Rolling Stones. Quella primavera del ’67 portò alla luce i Moschettieri, totalmente neofiti musicalmente ma con tutta la strumentazione e alle porte di un esperienza indimenticabile: aprire con altri artisti italiani la prima tournée dei fantastici Rolling Stones. “Sapevamo eseguire molto bene, dopo ore e ore di ascolto dischi e prove, almeno 4 pezzi ed era quello che bastava come battistrada”. Si fece amicizia un po con tutti; New Dada, Stormy six, New Trolls, Albano ecc ecc. Con gli Stones, dei quali conservo ancora un giubbetto jeans tutto firmato, riuscimmo all’ultimo giorno, in quel di Genova a passare un pò di tempo insieme giocando a flipper negli androni del palazzetto dell’esposizione nautica… roba da non credere.    
Con Bobby Solo
A: Da Immortali ad Acqua Fragile: qual è il significato di questo nome?
F: Immortali, così si chiamavano quei ragazzi che facevano sala da ballo; Bernardo Lanzetti, Pier Emilio Canavera, Gino Campanini che ci accolsero al ritorno della naia. Io e Maurizio Mori, con me a difendere i confini dello stato, già Moschettiere e prossimo Acqua Fragile, ci ricongiungemmo a Gino Campanini, anche lui in precedenza Moschettiere, per formare una band che si dedicasse finalmente al grande rock: CSNY, Frank Zappa, Joe Cocker, Genesis, Gentle Giant, Traffic ecc ecc. Una sera incrociammo la PFM in una sala da ballo del bresciano o del mantovano, non ricordo bene, loro l’attrazione, noi il gruppo che faceva la serata. Con grinta e capacità esecutiva coadiuvati  dall’importante repertorio attivammo la loro curiosità. Ci invitarono a Milano e ci consigliarono di iniziare a comporre, volevano produrci. Così fu. Noi scoprimmo in Bernardo un compositore fuori dal comune. Nella fase successiva, durante l’incisione di ACQUA FRAGILE, il primo LP, aprendoci all’ambiente milanese, fu Bernardo a suggerire il nome, e Franco Mamone - a quei tempi il tour manager più importante d’Italia - approvò: l'dea arrivava proprio dalle sensazioni di leggerezza che forniva la nostra musica (chitarre acustiche e tante voci); da lì partimmo, per farci conoscere in vari tour, aprendo i concerti dei gruppi inglesi tra i più famosi del momento (Uriah Heep, Curved Air, Audience, Tempest, Alexis Corner and King Crimson, Soft Machine, Gentle Giant, ecc.)   
A: Il primo, meraviglioso, album omonimo, uscì nel 1973 per la Numero Uno: che vantaggi vi portò pubblicarlo per un’etichetta così famosa, anche se indipendente?
F: Se parliamo di soldi, praticamente nulla. Eravamo invece fieri di quello che avevamo realizzato, credevamo nella qualità e pensavamo di essere riusciti nell’intento. Un primo lavoro dal largo respiro quindi, dove i profumi di un intelletto collettivo trovato e fiorito nel decennio appena trascorso danzavano tra i misteriosi neri solchi del disco regalando musica ed emozioni fresche, primaverili, Botticelliane. Il mercato imponeva la sua inespressiva, fredda, implacabile legge che nel tempo vedrà purtroppo trionfare la quantità a discapito della qualità.
A: Pur non avendo tale album il successo sperato, non vi scoraggiaste, e l’anno successivo usciste con “Mass Media Stars” che in modo unanime viene considerato fra i dischi più importanti del Prog italiano. Sarebbe interessante conoscerne le modalità compositive.
F: A quei tempi la nostra musicalità era puro istinto. Bernardo Lanzetti era il compositore principe, razionale e geniale allo stesso tempo, seguito da Pier Emilio Canavera, l’uomo dalle cose giuste al posto giusto. Io, Gino Campanini e Maurizio Mori contribuivamo con idee, riff, cori, definizioni delle nostre parti, ecc. Allora un gruppo che si accingeva alle incisioni lo si poteva considerare veramente come tale. Eravamo sempre insieme, le idee nascevano in qualcuno di noi e tutti insieme nello stesso momento, ci confrontavamo ed esse si attaccavano, cercando di metterle giù nel modo giusto per realizzare il nostro concetto di canzone. Qualche volta realizzavamo cose che non ci piacevano, le scartavamo e continuavamo a provare per ore e ore fino al risultato che ci soddisfaceva. In questo modo nel giro di un anno realizzammo “Mass Media Stars”, album nel quale io vedo la naturale evoluzione compositiva e realizzativa del gruppo, ma anche del genere, una maturità potente sbocciata faticosamente ma inesorabilmente. Nasceva “Mass Media Stars”, un vero caposaldo del genere. Per noi un capolavoro
A: Dei tanti concerti fatti, anche insieme a nomi internazionali come Soft Machine, Uriah Heep, Gentle Giant, quali sono quelli di cui hai ricordi migliori e perché? Chi erano i vostri “colleghi” maggiormente degni di nota?
F: Il gruppo, molto famoso all’epoca, che ci colpì in modo poco favorevole, sorprendendoci anche, fu quello degli Uriah Heep. Orientati come eravamo in quel periodo verso un idea prog quasi integralista, li ritenemmo un poco banali, troppo rock, poco puri, orientati verso soluzioni semplicistiche e appariscenti. Eravamo molto giovani e non capivamo le cose fino in fondo. Pensavamo che il mondo rock fosse incontaminato dalle regole del businnes globale, quasi un’isola felice, la punta di una nuova e particolare rivoluzione non violenta, ci sbagliavamo; gli Uriah Heep erano molto più in regola di quanto pensassimo e devo anche aggiungere molto bravi. Sapevano suonare e cantare alla grande e avevano capito il tipo di giungla in cui erano collocati. Per noi l’apice di positività venne toccato quando la fortuna ci portò all’apertura dei concerti dei Gentle Giant. Dei veri giganti della musica, esperti in ogni genere; dal rock al blues, al jazz, al classico, al country, al pop insomma delle vere e proprie macchine da guerra. La loro capacità tecnica andava di pari passo con la genialità compositiva e di arrangiamento, pazzeschi. Passammo due settimane con loro indimenticabili facendo concerti dalla Sicilia all’Italia del nord. Diventammo amici grazie alla loro umiltà e umanità. Niente divismo ma uomini come tutti gli altri. A tal proposito voglio raccontare un aneddoto per noi stupefacente. Eravamo a Bari, si concertava al teatro Petruzzelli, nel pomeriggio alle prove, pensando di essere soli, ci divertimmo ad eseguire il loro brano “Giant” e lo facemmo con sicurezza e grinta tanto da fare scattare un applauso convinto da dietro le quinte. Erano loro, da pelle d’oca. 
A: Alla fine del 1974 entrò in formazione il grande Joe Vescovi, ma poco dopo, nel 1975, uscì Bernardo Lanzetti per entrare nella P.F.M.. Un duro colpo per voi. Capisti subito che avreste fatto fatica senza il suo apporto?
F: Ci stavamo avviando verso la fine. Un corpo senza un organo vitale non può sopravvivere. La realtà spietata del mondo degli affari ci stava investendo in pieno. La PFM, nostri produttori, ci stava portando via il cantante/compositore per le loro necessità vitali. Convinsero Bernardo dicendogli che noi non avevamo futuro e lui, forse anche invogliato dalle prospettive immediate di tour mondiali, cedette alle sirene spedendoci all’inferno. Proprio lui qualche tempo fa mi disse di un manager americano che all’epoca ci avrebbe voluto in America, personaggio che poi nel tempo divenne il manager di Madonna a la cosa saltò per una banalità assurda: a Milano, alla Ricordi, quando arrivò il fax con la richiesta non risposero perché nessuno sapeva l’ìnglese in modo non compromettente. Quindi noi nella merda e lui apparentemente in Paradiso. Nel tempo poi si accorse della trappola in cui si andò a cacciare, tutto era nelle mani di Franz Di Cioccio e per lui solo uno spazio ristrettissimo. Successo sì, ma pagato a caro prezzo, come i matrimoni all’apparenza  perfetti ma che poi nel privato nascondono problemi irrisolvibili, lui e Franz due caratteri troppo forti per coesistere a lungo. Joe Vescovi lo fulminammo nel cuore e nella mente durante un concerto in Veneto. Suonammo assieme ai Trip e dopo il concerto ci venne a trovare facendoci i complimenti e facendoci capire che non gli sarebbe dispiaciuto entrare in Acqua Fragile. Maurizio Mori stava decidendo di uscire dal gruppo per motivi personali e conoscendo le alte qualità di Joe ci sembrò meravigliosa l’opportunità. E così fu. Un amore che non durò molto, l’affair Bernardo-PFM si stava evolvendo e concludendo, ma anche in questa condizione non prevista il rapporto fu molto bello ed intenso. Joe era bravissimo, un vero personaggio a tutto campo, con lui i live diventarono concerti internazionali. Poi a breve le condizioni di mercato cambiarono e per il Prog, e conseguentemente l’Acqua Fragile, la vita si fece molto complicata. Con Joe e Bernardo, nonostante qualche problema tra i due, e poi con Facini e Joe, facemmo un periodo di concerti bellissimi e poi l’inevitabile chiusura di tutta la storia. Delusioni e mancanza di fondi, nonché generi musicali nuovi, si stavano affacciando impetuosi al mercato assorbendo i gusti dei giovani. Il Prog è una musica difficile per palati disposti all’impegno e alla sofferenza; per qualche anno ci fu interesse, ma ora il futile travestito da ribellione, la conseguenza naturale del periodo Prog, si stava impadronendo piano, piano della moltitudine relegandoci all’angolo del ring. Fu Joe, molto dopo, a volere mettere sul mercato quella registrazione live di uno dei primi concerti fatti insieme. La qualità assurdamente bassa era data dalla registrazione fatta con un “Geloso” in sala, tra il pubblico. Con Joe ci arrabbiammo e si scusò ma la frittata era pronta sul tavolo.  
A: Tralasciando proprio questo discutibile semi-bootleg “Live in Emilia” (pubblicato nel 1994 ma registrato nel 1975), cosa vi fermò definitivamente, pur con l’innesto di Roby Facini come nuovo cantante?
F: Facini, come cantante, non era confrontabile a Bernardo, anche se era meglio come chitarrista; le sue qualità compositive non propriamente Prog erano di un buon livello, ma la figura complessiva risultava inferiore alle aspettative e mal collocata. Alla fine non fummo molto convinti ma soprattutto la mancanza di fondi, e anche il crescente disinteresse verso il nostro genere da parte dei discografici e degli impresari, ci obbligò allo scioglimento della band.
A: Negli anni immediatamente successivi a tale scioglimento, quale fu il tuo percorso artistico?
F: Con Pier Emilio rientrai nella band in cui ero stato anni prima appena finita la naia: I Rocky’s Filj. Un manipolo di grandi musicisti e di grandi amici. Molto più semplici, ma molto più umani dell’Acqua Fragile. Stavo veramente bene. Rocky (Roberto Rossi), Roby Grablowitz, Beppe Ugolotti e Elio Baldi Cantù ci accolsero a braccia aperte. Veramente una bella famiglia. Un giorno mentre eravamo in un night di Stabio in Svizzera venne a trovarci un impresario di vecchia conoscenza proponendoci di diventare la band che accompagnasse Bobby Solo, prospettandoci centinaia di date e concerti in tutto il mondo. Dopo 2 secondi decidemmo di accettare l’incarico. Il tutto si avverò. Centinaia di serate per tutta la penisola e magica ed irripetibile tournée di quasi tre mesi per tutto il continente americano. Dalla Patagonia al Canada coprendo le massime città degli Stati Uniti. Quindi: Buenos Aires, Cordoba, Bariloche, Santiago del Chile, Vina del Mar, Valparaiso, New York (al Madison Square Garden, come sopra descritto), Philadelphia, Boston, Cleveland, Detroit, Chicago, Montreal, Toronto. Negli States fummo il gruppo per tutto lo spettacolo che comprendeva artisti diversi: Anselmo Genovese, parente, forse nipote, del più famoso Vito, Rosanna Fratello, Franco Franchi e Lino Banfi. Durò più o meno un anno e tornando a Stabio si presentò un altro impresario proponendoci questa volta Iva Zanicchi. Subito la cosa non ci piacque per ovvi motivi, ma poi ci disse che da lì a pochi giorni si sarebbe partiti ancora per l’Argentina. Era il 1978 anno dei mondiali di calcio proprio in quello Stato. Partimmo. Anche con lei non si andò oltre l’anno e questa volta cascammo benissimo: Franco Califano, uomo sincero e onesto. Grande artista dal cuore d’oro pieno di umanità. Con Franco si aprirono le porte dei locali più prestigiosi della penisola: La Capannina, la Bussola, Oliviero, Il Covo Di Nord Est, il Paradise, ancora ma in altra veste il Teatro Petruzzelli, ecc. Fu un bel periodo, ma per me anche l’ultimo come professionista. Mio figlio si prese una polmonite molto forte che lo costrinse ad un mese e più all’ospedale. Era grave. Decisi di smettere per essere vicino a lui e alla famiglia. Mi resi conto che negli ultimi anni non ero stato molto presente anche se sempre supportato. Mia moglie, una donna fantastica per un amore infinito. Il “Califfo” mi capì e mi disse che facevo bene “prima i figli e la famiglia, dopo la musica, vai tranquillo non sbagli”. 
Moschettieri
A: Alla fine degli anni Novanta partì l’esperienza con gli Shout!, coi quale pubblicaste due cd, dalla quale emerge il tuo amore verso i Beatles. Quale fu la genesi di questo gruppo?
F: Alla fine del professionismo mi si presentò la necessità di trovare un lavoro per sopravvivere. Subito optai per una cosa semplice che potesse dare dei risultati economici soddisfacenti. Comprai un camion e feci il corriere per due anni. Durante un viaggio notturno verso Torino mi chiesi se per caso non fossi pazzo. Cominciai a pensare. Ricordai di avere visto in America diversi locali dove si faceva musica live. Eureka! Mi dissi, ecco la soluzione dove finalmente tornare alla musica. Tira, para, e molla aprii a Parma “La Corriera Stravagante”, un pub in una casetta molto bello e caratteristico, anche se ubicato in un quartiere difficile. Non fu facile e tanto meno  poetico, prima le nuove regole della professione e poi la musica. Si rividero Facini, Giacomo Fava (Moschettieri) e Pier Emilio Canavera per fare i Beatles, un amore che arrivava dai primordi e che ora stava chiamando a gran voce. Provarono, ma mancava il basso, mi chiamarono e nacquero gli Shout! Questa prima formazione era la copia dei Fab Four, meravigliosa, lo testimoniano diversi filmati. Tutta la città veniva ai concerti degli Shout! Nel tempo Pier si ritirò per motivi personali facendosi sostituire da Sandro Ravasini, un batterista straordinario ma anche lui come me incapace di cantare; Pier lo faceva. Mancava una voce, Facini conobbe Giampaolo Bertuzzi di Castell’Arquato (San Remo 1992) e lo fece entrare nel gruppo. Altra formazione grandiosa. Sembravamo l’evoluzione immaginaria dei Beatles. Con questa grintosissima formazione vincemmo “Trento e i Beatles” una manifestazione tra quattrocento band italiane che facevano i Beatles. Seconda arrivò una formazione dove militava Giorgio Usai il tastierista baffone dei New Trolls e Nuova Idea. Il primo premio consisteva in viaggio a Londra per tutta la band. Meglio di così non poteva andare. Questo è il periodo delle autoproduzioni. Incidemmo in casa “In A Corner Of Heaven”, 13 brani dei Beatles e cinque nostri, poi più avanti quando fuori uscirono per troppi impegni professionali sia Facini che Ravasini, Giampaolo propose al sottoscritto di arrangiare una ventina di bellissimi brani da lui composti e quindi si arrivò alla realizzazione di “I’ve Got A Feeling”, 18 brani. La cosa fu possibile grazie all’aiuto di amici meravigliosi quali: Beppe Ugonotti alla chitarra e cori, Pier Emilio Canavera alla Batteria e cori, Giovanni Baldi Cantù al pianoforte e alle tastiere, Daniele Mariotti alla chitarra acustica. L’ultima formazione, in un certo senso la più completa di tutte, naviga alla grande negli anni 2000. Entrano per la prima volta in dimensione live le tastiere super complete con Gianfranco Pinto, tastierista poliedrico già dei “Madrugada”, gruppo prog di Bergamo. Grandissimo elemento diplomato in cori, esperto di elettronica e di vita sul palco (10 anni con Riccardo Fogli) Alla batteria entra un ragazzo nato a Parigi: Thierry Binelli  che si mostrerà all’altezza. Nel periodo precedente, quello dei cd auto prodotti, il gruppo spesse volte ebbe ospiti di un certo spessore quali Faletti e Riccardo Fogli e per molto tempo Andrea Fornili famosa chitarra degli Stadio. Per molto tempo le cose andarono bene poi un maledetto giorno del 2011 Gianfranco Pinto ci lasciò consegnando la sua pelle nelle mani della signora in nero con la falce. Anche Thierry smise e pure Giacomo, così Giampaolo per motivi di salute. Anni dopo entrarono per l’ultima formazione di questa gloriosa band una donna alla voce (straordinaria) Rossella Volta detta Ross, un chitarrista blues detto “Genius” il ritorno di Giacomo e il potente quanto bravo Armando Splenito alla batteria. Per quanto riguarda Joe Vescovi negli Shout! fece la foto ma null’altro.
A: Siccome il passato non si dimentica mai, e questa tua storia lo racconta, ti “riattivasti” in tal senso negli anni del nuovo millennio formando gli Acqua Fragile Project, progetto che riportò in auge questo glorioso nome tramite concerti azzeccati (io partecipai ad uno di essi, intenso, al teatro “Magnani” di Fidenza). Che ricordi ne hai?
F: Ne ho un ricordo positivo perché ci credevo, ma gli altri del gruppo originale non erano sulla mia stessa lunghezza d’onda. Interpellai Bernardo diverse volte ma niente da fare, diceva che era una cosa fuori tempo, che sarebbe costata troppo in termini di fatica fisica e mentale e anche di soldi. Il tempo delle prove sarebbe stato lungo, dover reimparare tutte le parti strumentali complicate e le tantissime parole non se la sentiva, a meno che non si dovesse preparare lo spettacolo per una serie di concerti già acquisiti. Visto che nessuno dei “miei” rispondeva, mi orientai verso nuovi compagni. Volevo far rivivere a tutti i costi l’Acqua Fragile. Vi riuscii in parte trovando dei giovani musicisti molto bravi che apprezzarono al primo ascolto i nostri due dischi. I primi ad arrivare furono due chitarristi dalle grandi qualità strumentali Alessandro Ricci e Michelangelo Ferilli; chiamai a questo punto Giampaolo Bertuzzi e anche Rossella Volta “Ross” alle voci, alla batteria venne con entusiasmo Sandro Ravasini, per ultimo arrivò alle tastiere un vero e proprio genio musicale: Alessandro Sgobbio, che in questo momento sta meravigliando l’Europa con i suoi Pericopes. Cominciammo le prove senza essere pagati e montammo non senza fatica, ma anche con tanto entusiasmo, il repertorio necessario per uscire su di un palco. Dopo qualche concerto ben riuscito, non sentendosi a suo agio per il genere Giampaolo abbandonò la band, al suo posto un vero animale da palco Manuel Roncoroni detto Badu. Anche Sandro smise per tornare alle sue lezioni e al suo jazz. Entrò  Fabio Pizzarotti  un vero batterista rock aperto al Prog. La cosa andò avanti per diversi concerti, ma le problematiche erano dietro l’angolo. Problemi caratteriali tra i chitarristi e l’assoluta incapacità compositiva portarono allo scioglimento del gruppo. Con la Ross e Sgobbio per qualche tempo cercammo di trovare soluzioni ma poi anche per noi arrivò il momento di smettere.
A: Venendo ad oggi, si sa che a breve uscirà un cd di inediti dei riformati Acqua Fragile. Una notizia che nel panorama Prog sta facendo ottime impressioni (tra cui ci infiliamo anche un mio “finalmente”…). Che album sarà? Puoi anticiparci qualcosa?
F: Mi dispiace deluderti ma a questa domanda per ora non posso rispondere. Top Secret.

Il discorso Acqua Fragile, interrotto più di quarant’anni fa, quindi è pronto a tornare in tutta la sua bellezza, con grande forza, tramite suoni e colori che sicuramente non lasceranno indifferenti i veri amanti del Prog nostrano, anche se, come detto poc’anzi, è davvero tutto coperto da impenetrabile segreto.
Comunque sia e comunque sarà, ogni luogo, ogni ambito, ogni periodo ha i propri fiori all’occhiello. Noi, a Parma, abbiamo (anche) Franz Dondi. Abbracci diffusi.


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