venerdì 8 maggio 2020

Le tastiere che non ti aspetti: incontro con Stefano Pantaleoni, tastierista dell'Acqua Fragile



L’articolo di oggi è composto da più sezioni e ha lo scopo di mettere in evidenza le skills e la storia di Stefano Pantaleoni, attuale tastierista dell’Acqua Fragile. Ma è molto più che una presentazione, perché dall’intervista a seguire emerge un mondo musicale da sogno, che supera l’elemento personale e si focalizza su un’era, una passione, un modo di vivere la musica che, se per qualcuno può significare “il ricordo”, per qualche giovane potrebbe rappresentare un modello di cui far tesoro.

Una chiacchierata, un video attuale e tante foto dello “strumento tastiera”, una manna per gli amanti del genere.

L’entrata nell’Acqua Fragile è recente, ed è proprio il leader della band, Bernardo Lanzetti, che introduce Pantaleoni, delineandone il ritratto umano e musicale.

Quando si parla di colleghi musicisti, collaboratori e compagni di viaggio nelle sette note, solitamente si spendono due parole per la loro perizia tecnica e si narra di episodi più o meno divertenti vissuti insieme, ma per parlare di Stefano Pantaloni non bastano due righe in simpatia.
Ho avuto la fortuna di incontrarlo soltanto un paio di anni fa, e il suo curriculum, unito alla sua formidabile collezione e conoscenza e padronanza di tastiere vintage e attuali, potrebbe impressionare chiunque, in ogni parte del mondo e non solo per il genere Prog.

La dedizione e meticolosità con cui ha trascritto, e poi successivamente eseguito dal vivo, le musiche dell’Acqua Fragile, sono un’impresa che ha dell’incredibile.

Posso affermare ciò perché Stefano si è, in più occasioni, confrontato con il sottoscritto e con Piero Canavera, all’epoca altro firmatario di quelle musiche, e ciò che mi impressionava e gratificava non erano solo le sue performance alle diverse e differenti tastiere, ma anche le motivazioni culturali sottotraccia e i riferimenti, colti o barbari, che, illustrati dal Maestro, hanno permesso di inquadrare al meglio la rilettura del mondo Acqua Fragile.

Nell’ambiente, c’è chi ha fatto fortuna perché “sa parlare” e il pubblico, anche se non così sprovveduto, si fa spesso incantare più dal verbo che dal lavoro musicale che il chiacchierone può permettersi di approssimare.

Stefano Pantaloni ha invece la padronanza di un lessico, una tecnica e una musicalità a tutto campo, superate solo dall’entusiasmo con cui è capace di affrontare ogni avventura musicale.

Nell’ultimo anno, per completare le musiche del nuovo album di AF, ci siamo attivati per creare musica insieme. È incredibile come alcune barriere, solitamente accettate per mascherare insicurezze, siano state abbattute a favore di concrete proposte a celebrare la poesia e le arie sognanti che ancora albergano nei nostri cuori.

Bernardo Lanzetti



Le tastiere che non ti aspetti, raccontate da Stefano Pantaleoni
Dicembre 2019
di Athos Enrile

L’incontro con Stefano Pantaleoni, attuale tastierista della band seminale Acqua Fragile, permette di colmare qualche vuoto storico riferito all’utilizzo di quelle che in termine generico potremmo definire “tastiere” utilizzate all’interno del panorama prog. L’importanza e l’utilizzo delle “nuove tastiere” allo sbocciare dei seventies è fondamentale per la definizione di trame musicali dalle caratteristiche precise, ma difficilmente si esce dal concetto generico di sintetizzatore, mellotron, moog, hammond e leslie, se si fa riferimento alla massa dei fruitori musicali. Ma i musicisti, ovviamente, la sanno lunga, perché la curiosità e la necessità di ulteriori sviluppi originali li ha da sempre portati alla ricerca continua della novità e del miglioramento, e in fondo, per i fan e gli appassionati, non è fondamentale conoscere tutti i dettagli caratteristici del “mestiere”, mentre è naturale goderne i risultati.

Arp Odyssey MKIII

L’intervista a seguire permette di scoprire un mondo sconosciuto ai più, e certamente sarà tanta manna per il “tastierista lettore”, giovane ma non solo, perché certi aspetti desteranno forse maggior stupore in chi, leggendo nomi ed etichette del passato, potrà ritrovare parti di sé.

Chi ama la musica e ne è parte attiva vive spesso in simbiosi con il proprio strumento, e il solo tocco o contatto fisico provoca piacere, qualunque siano le competenze, perché è questa la sintesi perfetta del concetto di “passione musicale”, che non riguarda quindi solo i grandi strumentisti, ma anche chi, ad esempio, strimpella la chitarra nella propria cameretta.
Pantaleoni rappresenta il top di categoria se parliamo di ricerca e di “accumulo tastieristico”, e a fine intervista è lui stesso a suggerire un modo per contattarlo, perché chi ha questa “malattia” ama anche essere contagioso!

Crumar DS2 (Korg Poly 800)

Ma vediamo qualche nota personale di Stefano Pantaleoni - compositore e didatta - che precede la chiacchierata.

Terminati gli studi classici presso i Conservatori di Parma e Bologna, dopo una prima fase ritenuta di formazione anche caratterizzata da premi e segnalazioni in prestigiosi concorsi internazionali di composizione, ritorna in quella dimensione musicale artistico/tecnologica che fin da ragazzo lo aveva avvicinato alla musica, ovvero il rock e l’elettronica. L’influenza dell’elettronica e i fermenti Pop e rock progressive degli anni ‘70 (Genesis e Tangerine dream su tutti) segneranno per sempre la produzione musicale dal 1988 in poi (coerenza ed onestà intellettuale lo dissociano ben presto da guide, consigli e ideologie della cosiddetta “avanguardia”). Le tappe significative di questo percorso sono le opere elettroniche “Alle Muse” per nastro magnetico del 1988, LP 33 giri pubblicato da un’etichetta indipendente (LMC), e “Simulacri” per dodici sintetizzatori del 1990, LP 33 giri pubblicato da un’altra etichetta indipendente (Sprint record).

Crumar DS2

Ha tenuto corsi di formazione musicale e workshops sulla musica rock in Italia, Germania, Spagna, Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni fra contributi, inserti, atti dei convegni, libri, partiture e incisioni discografiche presso prestigiose case editrici (La Scuola, Fabbri Editore, Tecnodid, Clitt/Zanichelli, Clueb, Bongiovanni, Edipan). Dal maggio 2018 è entrato a far parte come tastierista della storica band   di rock progressivo “Acqua Fragile”.

Crumar Stratus

Tra collezionismo e ricerca

A partire dal 2009 fonda "Isoledipensiero", uno studio di produzione assai singolare sul territorio nazionale, ma anche un work in progress compositivo, attualmente alla settima release, che si avvale di una collezione privata di organi, tastiere e sintetizzatori vintage in gran parte di fabbricazione italiana, che si stagliano in un intero arcipelago tecnologico costituito da oltre cinquanta esemplari.
Risulta assai difficile, grazie al supporto e all’integrazione delle tecnologie attuali, pensare di poter esaurire tutte le possibilità di indagine e sperimentazione legate al ri-utilizzo attuale di questi strumenti, proprio per l’alto potenziale di suggestioni e prospettive di orizzonte creativo che lasciano ancora oggi intravedere. Suggestioni e proiezioni in un orizzonte compositivo da scoprire e riscoprire, in un affascinante e sfumato confine tra ricerca sonora e pensiero compositivo.

Davolisint e davoli sintaccord 44

Siamo in effetti di fronte ad una scommessa: da un lato il recupero di sintetizzatori vintage, dall’altro una ricerca che si compie in tempi recenti contraddistinti da ben altre tecnologie. Possiamo azzardare l’avvio di una nuova dimensione della filologia applicata alla musica elettronica analogamente per quanto avviene nella musica antica? Il recupero di questi strumenti elettronici appartenenti ad un’epoca passata, utilizzati per una dimensione compositiva in una nuova stagione creativa, configura in modo visionario questa nuova cifra timbrico/stilistica in una sorta di rinnovata musica elettronica dal colore antico.

Eco Binson

Qualche chiacchiera interessantissima!

Apprendo della tua grande collezione di tastiere (usiamo un termine generico per facilità di dialogo): cosa rappresentano per te, oltre alla voglia di ricerca delle radici?

Le tastiere che colleziono sono importantissime per le mie produzioni, soprattutto di musica elettronica, a vari livelli e per varie ragioni. Ognuna ha proprie caratteristiche in base alla marca ed il modello, vuoi che sia un synth piuttosto che una string machine, un organo, ecc.; più precisamente ognuno di questi strumenti nelle diverse categorie ha una propria personalità. Come diceva il grande Edgar Froese (Tangerine Dream): ogni strumento, dal più semplice al più sofisticato, presenta almeno un aspetto per il quale è unico!  È proprio a partire e grazie a questi presupposti che le mie idee prendono forma; più ancora, sono orientate e condizionate da questo stato di cose. Spesso alcuni spunti si sostanziano a partire da un timbro, un preset, dall’uso “improprio” di qualche elemento, addirittura dalla mancanza fisica di qualche componente. Ti racconto questa: il mio Eminent 310 Unique è rotto, da tempo non funzionano tutti i Do#. In una produzione avevo deciso di utilizzarlo e non c’era verso di farmi cambiare idea, quindi… tutte le armonizzazioni che includevano il Do# venivano modificate utilizzando altre note, variando gli accordi, ecc. Ciò ha condizionato tutta la struttura armonica della sequenza, ma alla fine sono stato soddisfatto. Se lo strumento non avesse avuto quella menomazione, quel brano non avrebbe avuto quella articolazione armonica perché non sarebbe mai scaturita quell’armonizzazione alternativa.

Eko P15

La prima domanda ha senso per chi è al corrente del rapporto osmotico che spesso il musicista crea col proprio strumento/prolungamento (anche se risulta più complicato per chi suona il pianoforte, piuttosto che la chitarra): c’è qualche innocuo e passionale aspetto “maniacale” che ti lega alla tastiera?

Difficile avere certezze, tuttavia tenterò qualche semplice riflessione. Ricordo ancora oggi lucidamente che fin da bambino due cose mi attraevano particolarmente: la tastiera del pianoforte (visivamente) e il suono dell’organo (mi commuovevo). All’età di quattro anni abitavo a Milano e i nostri vicini di casa possedevano un vecchio pianoforte verticale; appena potevo scappavo da loro per schiacciare quei tasti bianchi e neri che mi affascinavano anche solo alla visione (potete benissimo immaginare l’effetto…)! Poi, più grandicello, in chiesa a servire messa, rimasi letteralmente fulminato dal suono dell’organo a canne e dal fatto che quello strumento avesse più di una tastiera. Verso i tredici anni divenni organista della mia parrocchia e accompagnai svariate funzioni, improvvisando anche temi dei gruppi “pop” di allora (era il periodo della Messa Beat!).

Elka Rhapsody 610

Anche chi da sempre bazzica la musica progressiva, quando parla del contributo dato a quel genere musicale dalla “tastiera” si focalizza normalmente su termini generici… Hammond/Leslie, moog, mellotron, sintetizzatore: ci puoi raccontare cosa c’è stato oltre al super conosciuto, tra sottogeneri e affini?

Ti ringrazio per questa domanda, è proprio la ragione della mia ricerca, ovvero dare la caccia a quegli strumenti elettronici meno noti rispetto a quelli da te citati.  Quando si celebrava il “progressive” (che al tempo era definito semplicemente “pop”) io ero un bambino e le tastiere storiche che hanno caratterizzato questo genere potevo vederle solo sulle riviste di allora (Ciao 2001 su tutte…), o in qualche altra rarissima occasione; l’ ”organista” che entrava in un “complesso” (allora si definiva così) ben difficilmente poteva permettersi un mini moog piuttosto che un organo Hammond e tantomeno un Mellotron, e anche per me andò a finire così!  Ecco allora che per poter emulare Flavio Premoli della PFM nel famosissimo assolo di “Impressioni di settembre”, per il quale utilizzava il primo mini moog importato in Italia (e un mellotron), scartando l’idea di affidare l’assolo al chitarrista (chitarra con distorsore), nella migliore delle ipotesi la stragrande maggioranza dei tastieristi di allora poteva disporre di un Elka Rhapsody 490 (il 610 era già più oneroso.) per i violini e un Davolisint o  l’appena più sofisticato Synther 2000 FBT in luogo del Moog. Questi due synth non disponevano di filtro (VCF) e generatori di inviluppo, quindi erano piuttosto limitati, ma mettendo all’unisono i due oscillatori (il Synther 2000 ne aveva ben tre!) e scordandoli un po’ il risultato, per l’epoca, non era male. Successivamente uscirono altri ottimi synth ad opera di marche quali Elka (il solist), Siel (mono e Cruise), Crumar (DS1 e DS2), Eko (synth P15), ecc. Le alternative all’organo Hammond erano invece molteplici, pur con la consapevolezza che l’emulazione vera e propria era ancora ben lontana. Esisteva un bellissimo prodotto italiano, un organo praticamente come l’Hammond, quindi elettromagnetico, ma dal prezzo di acquisto comunque molto oneroso (peso e ingombro pari all’Hammond), ovvero l’organo Pari (PFM). Massimamente circolavano organi elettronici Farfisa, Vox, Gem, Elka e qualche Davoli: quest’ultimo aveva il pregio di assomigliare, almeno esteticamente, all’Hammond L 100, con il mobile in legno, le due tastiere, la pedaliera, ecc., anche se il suono era tutt’altra cosa. Poco più avanti, se non ricordo male verso il 1976 o giù di lì, l’italianissima Crumar sdoganò il primo vero e proprio clone elettronico dell’Hammond che ancora oggi non sfigurerebbe in un setup di un tastierista, ovvero il Crumar Organizer. Questo strumento aveva gli stessi drawbar di un manuale dell’Hammond, con le percussioni e perfino la possibilità di emulare il clic rumoroso dei tasti; il grande pregio era la portabilità e se lo amplificavi con un vero Leslie spaccava letteralmente (e spaccherebbe ancora oggi)! L’emulazione del pianoforte era un altro grande problema che assillava però anche i tastieristi famosi! Nelle incisioni importanti quasi tutti i grandi gruppi utilizzavano un pianoforte tradizionale, a coda piuttosto che verticale, ma dal vivo pochissimi potevano permettersi di portare su un palco un gran coda come Emerson e Wakeman. I piani elettrici più accreditati erano l’RMI (Genesis, Wakeman, ecc…) e l’Hohnher planet n, oltre al Clavinet che però era una sorta di clavicembalo elettrificato (Orme, Emerson, Wakeman, ecc.); ricordo anche un Farfisa professional piano utilizzato da Joe Vescovi. Circolavano anche i classici Fender rhodes (Area, Perigeo, ecc.) e Wurlitzer, usatissimi da alcuni gruppi importanti anche se il loro scopo non era quello di emulare propriamente un pianoforte acustico. Ad un certo punto in Italia, sempre la Crumar (e successivamente anche tutte le altre marche), presentò il Compactpiano, con sonorità ottenute elettronicamente (senza dinamica) di pianoforte, clavicembalo e honki tonki al costo di 200.000 vecchie lire: fu una svolta epocale! Da lì in poi tutti gli assoli, da Firth of fifth dei Genesis a Collage delle Orme (Scarlatti, Sonata K380), furono possibili in un live anche per noi “comuni mortali… Addirittura vi fu qualche tastierista che vendette il vero Hammond (per peso, ingombro e quant’altro) per comprarsi con il ricavato tre elementi con i quali finalmente poter fare tutto: Crumar organizer, Elka Rhapsody e Davolisint! Ad un certo punto della mia vita, completati gli studi e raggiunta una accettabile sicurezza economica, decisi che tutti gli strumenti storici che un tempo non potevo permettermi prima o poi sarebbero stati miei, e così è stato!  Poi, in un secondo tempo, a partire dal 2008, il mio interesse si è orientato su tutta la produzione italiana e ancora oggi compro tutto ciò che mi capita di trovare di elettronico che abbia un marchio italiano.

Elka solist

Ti senti più musicista, compositore o ricercatore?

Compositore, assolutamente! Quella di un esecutore (strumentista) e di un compositore sono mentalità e mondi diversi; anche se può sembrare un paradosso, a certi livelli le due dimensioni possono diventare addirittura incompatibili. Per quel che mi riguarda ritengo di avere la mentalità del compositore, da sempre: quando ero studente di pianoforte il dover studiare per diverse ore studi, brani e quant’altro, mi faceva sentire in colpa per rubare tempo allo studio del contrappunto e della composizione.

Eminent 310 Unique e Clavinet Hohner D6

Chi ha dato di più alla causa in fase di contributo strumentale? Anche noi italiani abbiamo qualche rappresentante che ha contribuito, in modo specifico dal punto di vista tecnico?

A costo di sembrare troppo scontato dobbiamo citare almeno due tastieristi sulla scena internazionale: Keith Emerson e Rick Wakeman. Ciò mi sembra tanto doveroso quanto universalmente riconosciuto, soprattutto per il livello tecnico di entrambi, specialmente del primo. Personalmente sono sempre stato molto più attratto però da Tony Banks, musicista raffinatissimo il cui apporto nei Genesis è stato a dir poco determinante: si pensi all’intro di Mellotron in “Watcher of the skys”; all’ esordio sinfonico in “The funtain of Salmacis” con un disegno su modello bachiano in semicrome realizzato con il  preset “trumpet” dell’Hammond L100 (successivamente passò alla serie T100) e dagli archi (Mellotron) nello sfondo; all’introduzione pianistica divenuta epocale di “Firth of fifth”… (e così dicendo ho decisamente gettato la maschera!). A livello nazionale abbiamo avuto ottimi musicisti che in non pochi casi avevano nulla o poco da invidiare a “certi” inglesi: penso a Maurizio Salvi dei New Trolls nel periodo di “Concerto grosso n.1” e “UT”, i fratelli Nocenzi del Banco, Flavio Premoli della PFM, lo stesso Joe Vescovi che mi ha preceduto negli Acqua Fragile. Non voglio nascondere poi la mia ammirazione per Tony Pagliuca: all’epoca di Collage, tra le altre cose, ebbe l’ardire di inserire nel brano “Sguardo verso il cielo” delle sovraincisioni di glissati affidati ad un oscillatore (probabilmente un multivibratore astabile) costruito da uno studente di elettronica (il mini moog non era ancora arrivato in Italia). Fu una pensata geniale: c’era gente disposta a giurare che fosse stato utilizzato un Moog, anche per la somiglianza timbrica all’assolo di “Lucky man” di Emerson…

Farfisa soundmaker e Logan string orchestra

Mi parli dei tuoi workshop a sfondo musicale?

Erano dei laboratori sulla musica rock rivolti a studenti in una età compresa tra i 16 e i 22 anni e provenienti da tutta Europa. Questi workshop si sono concretizzati in seno ai “Campi internazionali giovanili (International Youth Camp)”, dal 1998 al 2006: una piccola Europa unita, animata da ragazzi provenienti da ogni parte del Continente, felicemente obbligati a mettere in comune le loro radici per stringere un nuovo patto di convivenza (la durata di un campo era di 15 giorni, da passare insieme giorno e notte). Gli I.Y.C a cui ho preso parte in qualità di docente del workshop musicale sulla musica rock si sono svolti a Windiscleuba D (1998), Zdar Nad Sazavou CZ (2000), Fertod H (2002), Blansko CZ (2004), Casas Ibanez E (2005), Myslowice PL (2006). Si è trattato in sostanza di “percorsi di progettualità multidisciplinare” organizzati nell’ambito di un protocollo d’intesa fra la Regione Emilia-Romagna, il Land Baden Wurttenberg (D) e la Diputacion Provincial di Albacete (E). Ogni esperienza è stata caratterizzata da un tema comune, spesso ispirato e desunto da storie e leggende locali legate ai paesi organizzatori, nella prospettiva dell’unità europea, quali ad esempio “Source of Europe”, “Exploring a magic Europe”, Youth Fusion”, “Think Positive”, ecc. e culminava nell’allestimento di un Musical (final show) con il concorso di più discipline, quali teatro, danza, tecnologie, pittura, sport e soprattutto la musica. In quelle occasioni ho composto la colonna sonora per il musical finale di ogni I.Y.C. e curato la preparazione della band preposta all’esecuzione nel workshop da me tenuto. Sono state esperienze fantastiche e molto significative, talmente importanti che hanno fatto da spartiacque segnando la mia vita fra un prima e un dopo, anche grazie alle meravigliose amicizie che ancora oggi coltivo.

Farfisa syntorchestra

Che cosa è "Isoledipensiero"? Puoi approfondire?

Oltre a quanto già detto in premessa, l’idea della denominazione di “Isoledipensiero” deriva dal posizionamento delle varie tastiere raggruppate per marche e modelli. Col crescere della strumentazione mi venne l’idea di organizzare i vari setup creando appunto gruppetti di strumenti organizzati per singoli marchi, in modo tale da ritrovarmi un gruppo di tastiere Crumar, un gruppo Elka, un altro gruppo Siel, ecc., cioè veri e propri setup monomarca. Sembravano proprio degli “isolotti” e da qui mi venne l’idea di “isole di pensiero”, visto che ogni marchio si distingueva anche per una sua filosofia progettuale. Da allora ho iniziato a produrre delle suite caratterizzate dall’impiego quasi esclusivo di queste macchine. In “isoledipensiero III” (2012), per ogni brano utilizzo due, massimo tre synth di una stessa marca, sempre rigorosamente di progettazione e costruzione italiana, evidenziando e valorizzando le caratteristiche progettuali e sonoro-articolatorie degli stessi che a loro volta influenzano e interagiscono con l'evoluzione formale/strutturale del divenire compositivo. Quest’ultima caratteristica è comunque un tratto distintivo comune a tutta la produzione di “Isoledipensiero” arrivata oggi alla n° VII. Quindi “isoledipensiero” è una collezione di Synth, uno studio di produzione, un work in progress compositivo del quale ancora non riesco a vedere la fine...

FBT Synther 2000

Di cosa consta la tua collezione personale?

Partirei da una prima “isola di pensiero” che scherzosamente (ma non troppo) amo definire “patrimonio dell’umanità”, ovvero le tastiere storiche: Organo Hammond M162 (americano) con Leslie 770, Eminent 310 Unique, Arp odyssey, Clavinet Hohner D6, Piano Fender Mark II, Mellotron 400D (inglese e totalmente ristrutturato in Inghilterra dalla casa madre), Mini Moog mod. D. E ora veniamo al versante italiano, ovvero la svolta della vita. A partire dal 2008 decisi di iniziare una produzione musicale elettronica utilizzando solo ed esclusivamente sintetizzatori progettati e prodotti dalle nostre aziende italiane: Farfisa, Elka, Crumar, Siel, Gem, Davoli, FBT, ecc. Ciò, sempre secondo i miei intendimenti, per valorizzare una serie di strumenti all’epoca sottostimati in quanto definiti il “voglio ma non posso”, ma con caratteristiche assai interessanti, alcuni dei quali utilizzati anche da gruppi storici: si pensi all’organo Farfisa compact Duo dei Pink Floyd; all’Elka Rhapsody 610 utilizzato da Tangerine Dream, J.M. Jarre, Vangelis, ecc.; al Farfisa Syntorchestra di Klaus Schulze, ecc. Parte la ricerca e nel giro di qualche tempo mi ritrovo con una quindicina di esemplari a cui si sono aggiunti tutti gli altri qua sotto citati: tre organi Farfisa,  Farfisa soundmaker, Farfisa synthorchestra;  Elka Rapsody, Elka solist, Elka EK44, Elka OMB5; Logan string orchestra; Davolisint, Davoli sintaccord 44; FBT Synther 2000; Jen sx 1000, Jen sx 2000; Siel Cruise, Siel Orchestra 2, Siel Opera 6, Siel DK80; Gem PK4900, Gem Equinox, Organo mini Gem, Gem instapiano, Gem WS; Crumar DS2, Crumar Stratus, Crumar Multiman, Crumar Crucianelli compactpiano; Eko synth P15; Viscount DB3, Viscount/Oberheim 3 Squared; due HitOrgan Bontempi.  Per finire vi sono altre tastiere giapponesi, alcune delle quali sono state dei punti di riferimento importanti negli anni Ottanta, ma poco o per nulla utilizzate in “isoledipensiero”: Yamaha DX7, Roland D50, Korg Poly 800, Korg DSS1, Yamaha YS 100, Korg MS20 mini, Roland JX-03, varie tastiere controllo.

Gem instapiano e Gem WS

Da un po’ di tempo fai parte della rinata Acqua Fragile, dove sono presenti tre membri originali che sicuramente fanno sentire il loro peso… uno in particolare: quanto spazio riesci a ritagliarti e quanto pensi riuscirai a farlo nel prossimo disco, che dovrà consolidare la nuova formazione?

Quando mi proposero di far parte degli Acqua Fragile, accettai con molto entusiasmo ma anche con la consapevolezza di non volermi limitare semplicemente al ruolo di tastierista, anche in considerazione del fatto che uno dei miei predecessori è stato nientemeno che Joe Vescovi. La composizione è sempre stata il mio pallino e fin da subito ho cercato di farmi accettare, anche e soprattutto per la possibilità di portare nuove idee rispetto alla visione che ho del rock progressivo, alfine di poter contribuire ad intraprendere un nuovo percorso di ricerca. Ciò nel rispetto della storia del gruppo caratterizzato da quel tipico sound che scaturisce dai primi due album che reputo straordinari, sia per la freschezza inventiva che per l’energia che emanano ancora oggi. Attualmente sto proponendo alcuni materiali a Bernardo Lanzetti: ci scambiamo spunti, idee e quant’altro possa contribuire alla stesura di un potenziale nuovo brano. Quando questo inizia ad avere una sua struttura viene poi girato al gruppo e sperimentato in sala prove con apporti a cura di tutti i componenti della band. Nella mia prima proposta, costituita solo dalla struttura armonico/formale comprensiva anche di due assoli, ho chiesto espressamente che la parte melodica (oltre naturalmente al testo) fosse ideata da Bernardo stesso; quando ho sentito la sua voce cantare sul pezzo potete immaginare la mia emozione, non mi sembrava vero tanto suonava bene! Anche in questo caso possiamo parlare di un work in progress nel quale, mi auguro, possano sbocciare buoni frutti.

Gem Pk4900

1Un’ultima curiosità, sono sempre rimasto affascinato dall’uso del theremin, il più antico strumento elettronico, spesso usato in ambito prog dal tastierista di turno, anche se in effetti non esiste alcun contatto fisico: cosa ne pensi?

Conosco questo affascinante strumento anche perché ne posseggo uno, marca Moog! È molto bello ma non ho mai pensato di impiegarlo seriamente anche perché, per essere ben utilizzato in interventi che non si limitino al solo glissato, anche il Theremin, come ogni altro strumento, richiederebbe l’applicazione di una tecnica mirata, frutto di uno studio serio e sistematico, specialmente per trovare giusto equilibrio tra espressività e stabilità di intonazione. La difficoltà di utilizzo sta proprio nel fatto che lo si suona senza toccarlo, quindi senza alcun riferimento visibile specialmente per quel che riguarda il controllo dell’intonazione. Detto controllo avviene avvicinando o allontanando le mani da due antenne: una controlla appunto l’intonazione (collocata verticalmente) e l’altra l’intensità (collocata orizzontalmente). Oltre all’impiego fatto da Jimmy Page nel particolare intermezzo del brano Whole Lotta Love e il famosissimo Thriller di Michae Jackson, non conosco opere prog anni 70 con un impiego significativo di questo strumento.

Hammond M162 con Leslie 770

Anche se a volte sembra che non ci sia più niente da inventare, penso anche che il continuo confronto con altri tastieristi “maniaci” di synth italiani sia estremamente arricchente, a questo proposito ho aperto da alcuni anni un gruppo facebook “Sintetizzatori vintage italiani” (www.facebook.com/groups/1209164015790517/): chi avesse voglia di fare due chiacchiere mi trova là, oppure se preferisce può contattarmi in privato.

HitOrgan Bontempi

Contatti Stefano Pantaleoni

Tel: 3387461987

Altre immagini… altre tastiere…

 Jen sx1000

 Jen sx2000 Synthetone

 Mellotron 400D e minimoog Model D

 Mellotron M400D, Minimoog Model D, Rhodes stage piano Park II e Arp Odyssey

 Organo farfisa con Leslie incorporato

 Organo Farfisa, mobile a deu manuali

 Panoramica 2 strumenti storici

 Panoramica Isoledipensiero

Panoramica strumenti storici

Particolare del Mellotron 400 D

 Postazione Crumar

 Postazione Elka

 Postazione Gem

 Postazione Siel e Farfisa

 Rhodes stage piano Mark II e Arp Odyssey

 Siel Cruise

Siel Opera 6

Viscount DB3

Stefano Pantaleoni a Veruno, lo scorso settembre con l’Acqua Fragile





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