Gli eventi creati dall’accoppiata Taulino/Castaldo non stupiscono più. Chi segue con regolarità queste manifestazioni ha probabilmente delineato come situazione normale il ritrovare certe star della musica italiana e internazionale su di un palco amico, a pochi metri di distanza, assolutamente avvicinabili.
Io non trascuro mai il passato e cerco sempre di dare il giusto peso a ciò che ho la fortuna di vivere in queste occasioni.
I Deep Purple non sono il gruppo della mia vita. Eppure ricordo ancora la data, 11 marzo 1973, in cui li vidi al Palasport di Genova. In quei giorni musicisti come John Lord o Ian Gillian erano inarrivabili, stelle mondiali che potevi scrutare solo sulle immagini dei vinili o su CIAO 2001.
E Ian Paice era nelle classifiche dei migliori drummers, tra Carl Palmer e John Hiseman, Bill Bruford e Phil Collins.
A Volpedo l’altra sera Paice era presente, così come Clive Bunker, altro mito a cui abbiamo fatto l’abitudine. Anche nel caso di “zio Clivio” faccio sempre riflessioni supplementari perché capiterà sempre più di rado di avere la possibilità di assistere a performance dei protagonisti di Monterrey, Woodstock o Wight, e Bunker a Wight c’era, e si esibì davanti ad una marea umana.
Sono partito da una lunga (ma non retorica) premessa perché ho la convinzione che occorra dare il giusto valore agli uomini e alle donne che hanno saputo dare qualcosa in più rispetto ai "comuni mortali", e le belle situazioni a cui ci ha abituato la Taulino’s family non devono fare dimenticare che sui palchi di Volpedo, Oviglio, Acqui, Alessandria e Valenza, tanto per citarne alcuni, sono passati musicisti che hanno fatto la storia del rock.
Sono certo che tutto questo è ben presente nella testa dei musicisti “ fissi” della Beggar’s Farm, Marcello Chiaraluce, Andrea Garavelli, Sergio Ponti e Kenny Valle che, nonostante la giovane età, potrebbero ormai scrivere un libro tanti e tali sono gli incontri musicali fatti in questi anni.
Ma chi era di scena a Volpedo il 3 settembre?
Se la “Progressivoice” di Valenza (aprile scorso) rappresenta per il mio gusto musicale il massimo raggiunto (sino ad ora), la serata “Ian Paice e Clive Bunker” ha avuto il pregio di accontentare palati differenti con il valore aggiunto dell’azione “didattica”. Il giorno dopo Franco Taulino mi diceva come secondo lui un evento del genere possa portare ad approfondire generi diversi da quello che si ama, e a conferma di tutto ciò ho raccolto a fine concerto la testimonianza di un ragazzo genovese che conosco, di anni … 17, che alla mia domanda scontata : “ … ti è piaciuto ?”, mi rispondeva .” … come fa a non piacere questa musica!!!), evitando di cadere in dettagli partigiani.
Santi genitori!
La serata era quindi divisa in due tronconi netti: il primo dedicato a Bunker e quindi ai Jethro Tull, con la presenza della Beggar’s al completo (con Sergio Ponti un po’ meno impegnato per la presenza di Clive, e con Castaldo in “We Used to Know”); la seconda parte dedicata invece a Paice e quindi ai Deep Purple, con Roberto Tiranti alla voce, Chiaraluce e Garavelli spina dorsale della serata e Neil Otupacca all’Hammond.
Rimarco il personaggio “Otupacca”, che avevo già visto nella 1° edizione dell’evento, ad Acqui, nel 2009.
Al di là dei meriti musicali è elemento che si distingue per presenza sul palco. Una sua qualsiasi foto di profilo della serata potrebbe essere scambiata per un‘immagine di 40 anni fa, con il look e la presenza di Vincent Crane, indimenticato tastierista degli Atomic Rooster, e con un organo Hammond che sembrava provenire direttamente da un palco degli anni ’70.
In realtà è andata in scena una terza parte di spettacolo, quel bis lungo tre brani che ha visto come protagonista l’inaspettato Bernardo Lanzetti, aggiuntosi al gruppo all’ultimo momento.
LA CRONACA
Piazza piena e il Sindaco fa sapere che il pubblico è maggiore dello scorso anno.
La serata sarà caratterizzata dalla pioggia, ma l’acqua, copiosa a tratti, non impedirà il normale svolgimento del concerto.
Si inizia quindi con il lato A, i “Tull”, e dopo l’inizio di Ponti alla batteria, sulle note di “Wind Up” entra in scena Bunker.
Appare in piena forma, e questa non è una novità. Commentare le performance di Beggar’s e Bunker potrebbe significare trascrivere la ripetizione di un copione conosciuto, tanta è la bravura e l’affiatamento dei musicisti. Accade quindi di disquisire sulla set list, un po’ come in occasione dei concerti di Anderson e soci.
A Song for Jeffrey, My Sunday Feeling, My God, Aqualung, Cross-Eyed Mary, Wind Up, We Used to Know e, come spesso accade, la versione lunga di Dharma for One, che permette a Clive di esibirsi nel suo solito assolo alla batteria.
Set fantastico e gloria meritata per tutti.
Girando il vinile, il lato B propone la musica dei Deep Purple.
Ian Paice sembra il clone di Bunker se ci si riferisce alla freschezza e al talento (non bisogna mai dimenticare che siamo al cospetto di uomini… “maturi”). Anche per lui l’assolo di rito con tanti passaggi sulle note dei grandi successi del passato, da Child in Time a Smoke on the Water, da Black Night a Highway Star, da Lazy a Burn.
Ma non c’era solo Paice on stage.
Otupacca all’Hammond ci ha riportato ai fraseggi di John Lord e ai concerti di un tempo, con quella timbrica particolare che era uno dei marchi di fabbrica dei D.P.
Non è carino parlare di artisti affermati e di valore come fossero i miglior cloni possibili, ma essendo in scena una sorta di tributo ad un genere musicale, sono certo che non dispiacerà a Roberto Tiranti essere considerato, per una sera, un grande Ian Gillan di casa nostra. Il talento e l’esperienza fanno di lui uno dei cantanti più preparati, non incasellabile in una particolare categoria musicale.
Grande prova al basso di Andrea Garavelli che aveva il compito non facile di rappresentare la metà della sezione ritmica in tutte le situazioni, con due mostri sacri accanto. Sciolto e disinvolto.
Marcello Chiaraluce mi stupisce sempre per un motivo: nonostante si prenda l’ovvia libertà di spaziare (hai visto mai un chitarrista che ripropone gli stessi assoli, concerto dopo concerto?), è in grado di riprodurre gli stessi identici passaggi che si trovano su disco. In piena forma nella parte di Blackmore, in un tipo di musica che, forse, lascia più spazio alle “divagazioni” chitarristiche e a riff di puro rock.
La seconda parte di spettacolo finisce e resta spazio per un lungo bis dove entra in scena Lanzetti.
Come già accennato la sua presenza non era stata dichiarata e, nonostante i suoi sempre più nitidi successi, tra nuovi progetti e rivisitazione di quelli antichi, il mettersi a disposizione per celebrare una festa “di altri”, per il gusto della partecipazione e della condivisione, è un’ulteriore dimostrazione di professionalità e amore per la musica. Non canta brani suoi e duetta con Tiranti ed è bello vedere due vocalist così bravi , ma dalle caratteristiche differenti, dividere il palco. Dopo “Locomotive Breath” e “Smoke on the Water”, Tiranti chede al pubblico: ” Do you wanna rock and roll?”
E rock and roll fu…
Ancora un’occasione in cui mi trovo a ringraziare chi ha inventato e rende possibili questi spettacoli, Taulino e Castaldo in primis!
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