Ecco la recensione del sesto album di questa band progressive
rock italiana. È stato il primo album con il loro nuovo cantante Bernardo Lanzetti e anche il primo con testi
scritti originariamente in inglese. Al signor Fielder è piaciuto.
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Recensione dell'album di Hugh Fielder
La PFM ha scelto un
momento propizio. Con i King Crimson ormai un ricordo e gli Yes impegnati nei
loro progetti solisti, si apre uno spazio per un'altra band desiderosa di
diffondere le proprie radici nel fertile terreno del pomp-rock. "Chocolate
Kings" sancisce il diritto della PFM a una significativa crescita,
e il loro attuale tour in Gran Bretagna dovrebbe favorirne la piena fioritura.
Già saldamente affermata come la migliore band rock italiana, la PFM ha chiaramente puntato al mercato anglofono con questo nuovo album. Hanno scritto tutti i testi in inglese (abbandonando la collaborazione con Pete Sinfield) e, per aumentarne l'efficacia, hanno aggiunto il cantante Bernardo Lanzetti. La voce di Lanzetti presenta una sorprendente somiglianza con quella di Roger Chapman (ex Family e ora Streetwalkers); così marcata che inizialmente distoglie dall'immagine energica che quella voce solitamente evoca. Solo superata questa prima impressione, il mio apprezzamento per l'album è cresciuto costantemente, culminando con l'ultimo brano, "Paper Charms".
La PFM non è certo una sconosciuta da queste parti. Il
coinvolgimento con Pete Sinfield dei Crimson e il loro album "The World
Became The World" avevano già costruito una solida reputazione. Deve
essere stata quindi una forte tentazione quella di seguire una strada più
sicura, cercando di inserirsi nel circuito dei grandi. Invece, "Chocolate
Kings" è un lavoro piuttosto audace che esplora diverse nuove aree,
integrandole con lo stile distintivo della band.
La loro abilità principale, che manca a molti esponenti
britannici dello stesso genere, è la capacità di trasformarsi in uno splendido
jazz-rock, rompendo la formula standard del pomp-rock, che a volte rischia
pericolosamente di scadere nell'autoparodia.
A ciò si unisce un suono piacevolmente spontaneo. Chiaramente
non amano le stravaganze da studio a 224 tracce, e si notano poche
sovraincisioni o massicci strati di tastiere a sovraccaricare l'ascolto.
A parte questo, devo ammettere che i testi a volte risultano
un po' insipidi, ma non è un difetto costante e funzionano bene nella title
track che conclude il primo lato.
È l'influenza jazz-rock, come accennato, a conferire un tocco positivo a questo album. I primi due brani, "From Under" e "Harlequin", mostrano entrambi un raffinato lavoro strumentale, in particolare del chitarrista Franco Mussida. La title track presenta un'asprezza decisamente marcata, insolita per questo genere musicale, ma che aggiunge indubbiamente una gradita aggressività.
Il secondo lato presenta solo due brani, ed entrambi
permettono alla PFM di rilassarsi ed espandere le proprie idee con maggiore
agio. "Out Of The Roundabout" ha una linea vocale piuttosto banale,
ma offre molto di più a livello strumentale, scivolando persino in un leggero
tocco jazz per un momento, mentre "Paper Charm" ha probabilmente la
melodia migliore dell'album e una superba struttura strumentale con un efficace
apporto di flauto e violino da parte di Mauro Pagani.
Il concept di "Chocolate Kings" trae ispirazione dall'arrivo dell'esercito americano in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, quando distribuirono barrette di cioccolato ai bambini come gesto amichevole. La PFM ritiene che la situazione stia cambiando, almeno musicalmente. Il paragone potrebbe essere che stanno diventando una delle poche band europee ad aver ottenuto un'ampia accettazione in Gran Bretagna.