mercoledì 28 luglio 2021

Intervista a Bernardo Lanzetti su TV RADIOCORRIERE

 

50 ANNI DI Sperimentazioni

 

Horizontal Rain” è il titolo del nuovo album di Bernardo Lanzetti, con la collaborazione di diciannove musicisti:

al sax baritono David Jackson, allo stick l’inconfondibile Tony Levin, alle chitarre incalzanti Marco Colombo e Andrea Cervetto e al violino struggente David Cross, un coro e tutta l’estensione vocale dell’artista che supera le tre ottave…

 

Cinquant’anni di carriera, questo nuovo album ne è la celebrazione?

In realtà non ho inteso celebrare, perché si usa contare gli anni dall’uscita del primo disco. Io considero la mia carriera dal ’71, quando fondai il gruppo Acqua Fragile e suonammo da spalla alla Pfm e ad altri gruppi inglesi. Quindi si può dire che sono cinquant’anni. Se calcoliamo il primo disco, invece, ci vogliono ancora due anni.

Nove brani di cui otto in inglese e uno in italiano. Come sono stati pensati?

Sono un autore molto prolifico, anche se nell’ambiente non si sa. Non solo scrivo musica ma anche testi, soprattutto in due lingue, italiano e inglese, dato che ho avuto la fortuna a sedici anni di andare negli Stati Uniti grazie ad una borsa di studio. Mi sono diplomato in Texas. Mia madre invece era di Varsavia e quindi ero portato per le lingue, perché anche il polacco girava in casa. Ma l’inglese per me è stato sempre utile per esprimermi nella musica rock.

Nel disco ci sono diciannove musicisti, con tanto di sezione fiati e coro. Spiccano inoltre gli ospiti internazionali…

Ho avuto grosse soddisfazioni e mi piace ricordare che da anni lavoro con musicisti famosi. Viaggiando ho passato molti inverni anche in Spagna e ho conosciuto anche lì molti musicisti che ho chiamato “a bordo”. Anche con artisti italiani lavoro in modo molto efficace. E poi, io non sono un grande strumentista e quindi chiamo dei chitarristi bravi perché so che suoneranno ciò che desidero.

Nell’album ci sono passione, nostalgia distaccata, furia e ironia, in un mix di sonorità imprevedibili?

Così come l’universo è formato da pianeti o stelle con gli stessi elementi della tavola periodica chimica, allo stesso modo il mondo sonoro è fatto da infinite possibilità del suono che la musica organizza in modo particolare e anche culturale. La stessa musica è capace di utilizzare anche il silenzio come fase creativa, come tassello della costruzione musicale.

Questo album è stato registrato e mixato a Los Angeles, Londra, Marbella, Milano, Piacenza, Perugia, Woodstock. Tutti questi luoghi, ne hanno contaminato il risultato?

Questo è un punto di vista interessante. Diciamo che molti sono convinti, non avendo letto le date, che ho lavorato in questo periodo di lockdown. In realtà ho iniziato a comporre nel 2014. Noi musicisti siamo molto esperti del lavoro a distanza, molto più di quelli che formano un comitato tecnico scientifico.

Sono suoi anche i lavori pittorici dell’album. Un’altra sua grande passione?

Mi piace molto dipingere e negli anni sono migliorato parecchio. Una delle mie idee era che non aggiungesse nulla all’artista disegnare la propria copertina, ma usando un artista esterno si aveva la possibilità di aggiungere qualcosa in più al lavoro, come un punto di vista nuovo. Stavolta ho voluto rompere questa regola ed ho usato dei miei lavori non tanto per descrivere, ma per aggiungere colori, forme e mistero oltre che eros. La copertina è complessa con due lavori sovrapposti, uno a gessetto e uno a matita e ho pensato potessero rappresentare una figura mitologica del futuro.

Ha all’attivo centoventi brani e composizioni. È un numero importante…

Ho cominciato con l’Acqua Fragile e poi con la Pfm, con cui ho firmato solo due brani. Poi da solista ho fatto quattro dischi, di cui tre anche in versione in inglese. Ho partecipato ad altri gruppi e ho fatto alcuni dischi di cover, tra cui quella di Bob Dylan, di cui vado fiero ed orgoglioso perché sono l’unico artista italiano menzionato nell’album raccolta di cover dallo stesso Bob Dylan. Ho scritto brani per Loredana Bertè, per Ornella Vanoni e per altri. Sono abbastanza prolifico. Una volta ho anche cantato in greco antico. Non mi fermo davanti a nulla.

Come ha vissuto i mesi di isolamento dal punto di vista della musica?

Nel primo lockdown mia moglie ed io eravamo in Spagna e, dato che non si poteva proprio uscire di casa, giravamo tante volte intorno al giardino pur di fare una camminata quotidiana. Dal punto di vista della comunicazione avevo scritto un documento in cui esortavo tutti in quel periodo a creare un nuovo tipo di musica perché vedevo che la maggior parte dei colleghi faceva video per far vedere com’erano bravi a suonare. Noi però sappiamo che davvero l’Italia ha musicisti bravi e competenti, c’è davvero una squadra preparata. Ma il mondo ha bisogno di nuove forme musicali che descrivano questa epoca che è unica da quando il mondo è narrabile. Il mio documento non è stato accolto e tutti hanno atteso che le cose cambiassero per tornare a come era prima. Vediamo però che non è tutto così semplice e fluido…

Ha detto in più occasioni che il rap ormai è superato e che bisogna inventarsi qualcosa di nuovo, bisogna affidarsi ai poeti. Come?

Già negli anni ’60 gruppi si erano affidati nei testi a dei poeti, magari visionari, ma con risultati eccellenti. Un musicista che è molto bravo con i testi magari avrà carenze con le strumentazioni e con la musica e quindi avrà bisogno di musicisti più bravi e lui potrà dedicarsi ad una scrittura poetica che è di per sé il messaggio di una canzone. Ormai vediamo che i rapper usano la parola, ma l’unica cosa che sfruttano è la rima che dà una forma di nobiltà alle frasi. In realtà non c’è la forma poetica. Bisogna studiare di più, ma non il contenuto, bensì proprio il modo in cui si organizzano le parole.

Non ha mai avuto paura di osare. È così ancora oggi?

Devo dire che questa è una verità, anche se a me sembra una cosa normale. Perché fare sempre le stesse cose quando quel repertorio già ce l’hai? Quando devo comporre cose nuove cerco nuove forme e mi confronto con lo sconosciuto. Mi dà molta carica. Posso aggiungere un’ultima cosa? Io non voglio risultare così acculturato come può sembrare. La musica arriva agli esseri umani senza filtro e nessuno deve studiarla per ascoltarla. Di fatto arriva a tutti, anche all’ascoltatore sprovveduto. E noi dobbiamo lavorare e raffinare questa musica per renderla figlia dell’epoca in cui viviamo.




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