Applausi
al cast e a un sorprendente Fermi, il 21 novembre a Piacenza
di ELEONORA BAGAROTTI
Qanta emozione può esserci dentro a un sogno? Infinita. E quel sogno, The dream – che fu
Martin Luther King a declamare, nel suo discorso sull’uguaglianza tra gli
uomini tenuto il 28 agosto 1963 a Washington - diviene il vero e protagonista,
nonché titolo, della pièce multimediale che ha celebrato l’altra sera, in un
Teatro dei Filodrammatici tutto esaurito, il 50° anniversario dell’assassinio di
J. F. Kennedy. Ma il sogno è anche quello di chi quello spettacolo lo ha
scritto, interpretato e realizzato. E l’emozione è stata la spinta per
imbastire «un gioco di scatole cinesi» - così l’ha definito la regista Carolina
Migli Bateson, già collaboratrice con “noveteatro”, ente di produzione teatrale che si occupa di formazione, teatro civile e
produzione di spettacoli di drammaturgia contemporanea italiana ed
internazionale – ideato da un brillantemente inconsueto Alberto Fermi, nel
ruolo di credibilissimo narratore-alter ego, non solo per la sua somiglianza con
lo stesso Kennedy (le parti in video, realizzate con un ombra che gli taglia il
viso a metà, la sottolineano ancor di più) ma per la spontaneità con cui ha
calcato il palcoscenico, nella parte finale. Oltre al lavoro di sceneggiatura, Fermi
ha chiamato al suo fianco due baldi moschettieri: lo storico coltissimo Stefano Pareti e l’appassionato musicofilo Alberto Dosi.
Di per sé, già un’ottima scelta se non fosse stata ulteriormente arricchita
dalla presenza di Bernardo Lanzetti, voce unica nel panorama musicale - e non ci
riferiamo solo alle sue celebratissime esperienze con Acqua Fragile e P. F. M.
bensì al presente, un oggi che lo vede
sfornare un nuovo album live intitolato Vox 40 -
Forty years of voice impossible.
Il palco è animato da quattro validi attori, ciascuno con caratteristiche proprie:
Doris Awuah, che ha vinto con naturalezza il suo debutto nel ruolo di una donna
di colore che si prende un giorno libero per portare il suo bambino a Dallas e
fargli vedere Mr. President; poi i very professional Roberto
Bernasconi e Daniele Dall’Olio, rispettivamente un poliziotto che si prepara
all’evento di Dallas, commentando con la moglie l’arrivo di Kennedy, e un
anti-kennedyano convinto, che tuttavia resterà infine sbigottito dagli spari.
Su tutti, si è levata la grazia sensibile di Sarah Patané. Un parterre che,
probabilmente, avrebbe potuto avere più spazio, anche se il buon lavoro di
ricerca
e assemblamento video di repertorio (e non) realizzato da Roberto Dassoni
ha accompagnato tutta la durata della messa in scena, fino a un finale meno suggestivo della scena dell’omicidio ma
volutamente aggressivo: una carrellata
di immagini che vanno dal giorno dell’omicidio fino al 2013 - fanno capolino
svariati Steve Jobs e persino un Lucio Dalla con cappellino. La regia di Migli
Bateson, aiutata dietro le quinte da Manuel Navati e dai tecnici Alessandro e Davide
al design luci, è pulita ed essenziale. I momenti più toccanti sono quelli in
cui si leva la voce di Lanzetti: Dylan all’inizio e alla fine (con i saluti e i
ringraziamenti corali dal palco ai patrocinanti: Associazione Amici del Teatro
Gioco Vita, Editoriale Libertà, Fondazione di Piacenza e Vigevano, Fondazione
Gorbaciov e, soprattutto, Robert Kennedy Center for Justice & Human Rights),
passando per Springsteen e Tracy Chapman. Certo, il saluto di Obama che cammina
sorridente colpisce e ci dice che quel sogno è diventato realtà. Ma ci sono ancora troppe guerre e disuguaglianze, nel grande
e nel piccolo quotidiano. Per questo, e soprattutto per questo, vale la pena
continuare a coltivarlo, quel Sogno.
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