Ieri Bernardo Lanzetti ha posto una
questione “delicata” a Franco Mussida, che si può leggere al seguente link:
https://bernardolanzetti.blogspot.com/2021/01/bernardo-lanzetti-pone-una-domanda.html
Ecco la risposta di Mussida.
Caro Bernardo,
una premessa. L’articolo non intende
prendere posizioni politiche, sottolinea un fatto umanistico. L’esempio del
presidente Usa è talmente eclatante che lo si è preso a modello per la sua
straordinarietà. In tanti paesi la violenza è un fatto giornaliero, in alcuni
la repressione è prevista per legge. Si parlava dell’impulso a distruggere che
esiste in ognuno di noi, e nella riflessione ne spiego le ragioni. Vale per
tutti i popoli della terra, gli uomini appartengono ad una sola razza: quella
umana appunto. Quindi, la violenza distruttiva sta in tutti quanti, compresi
cinesi, russi, noi italiani o americani. Occorre quindi insegnare alla gente a
costruire, poiché distruggere non ha bisogno di maestri, ci viene naturale. Nel
ragionamento ho inserito la Musica poiché in origine non fu pensata per
incitare alla violenza, ma per educarci a costruire, ad aprire spiragli di
dialogo con gli Dei, il cielo, il creato. Successivamente è stata organizzata
in suoni, per dare voce alle nostre intenzioni emotive, prenderne coscienza.
Ricordo che in India e nella Grecia antica la si impiegava per educare il
sentire del popolo. Ma tu mi chiedi se è nata prima la poesia della parola o la
Musica. Le forme, qualsiasi forma, in ogni caso arrivano sempre un attimo dopo
la necessita di manifestare un’intenzione, prima di tutto emotiva. Dolore e
gioia li manifestiamo istintivamente attraverso un urlo o una risata. Al buio
di notte picchiare uno stinco contro uno sgabello fa molto male. Il suono
onomatopeico istintivo è più o meno una vocale Ahhhhhhhhh… soprattutto. Non c’è
un urlo inglese giapponese o tedesco, nè un ridere francese o messicano. Queste
manifestazioni sonore sono elementi primari. Solo molto più avanti, i nostri
antenati si sono chiesti: “che nome diamo a questo sentimento che ci prende
quando sentiamo male o proviamo gioia?” Allora qui sì che si sono scatenate le
diversità, si è generata quella babele che nel mondo del suono, quello delle
pure intenzioni emotive non c’è. Noi italiani quelle intenzioni emotive le chiamiamo:
“dolore, gioia”. Gli anglosassoni “Pain” o “Joy”. Se fate un giro sul
traduttore di Google c’è da sbizzarrirsi con le parole più diverse. Concludo
ricordando, anche a me stesso, che le parole cominciano a prendere le loro
forme fino a diventare poesia, solo dopo, quando in noi si sviluppa, si fa
largo quello speciale “caglio spirituale" umano che chiamiamo intelletto,
che da quel mare immenso di intenzioni emotive solidifica porzioni di suono
alle quali associa, appiccica una immagine e la nomina. Ed ecco le parole.
Franco
Si aspettano commenti...
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