Articolo di Gianni Sapia apparso sul numero speciale di MAT2020 dedicato a Bernardo Lanzetti
Bernardo e la PFM…
Un breve cammino
all’interno di un lungo cammino. Quasi un volo di trasferimento all’interno di
un viaggio intercontinentale. Ma fondamentale. Fulcro inconfutabile di due
carriere. Quando la PFM e Bernardo Lanzetti si incontrano, non
succede niente di strano a pensarci bene. La voce di Lanzetti, potente e
modulata con la stessa maestria con cui Renoir modulava i colori e
l’inesorabile e maniacale tecnica di Pagani,
Di Cioccio, Mussida, Djivas e Premoli si amalgamano con la stessa naturalezza
di Coca e rhum, o whisky e Cohiba. Avete mai provato a fumare un Cohiba
especial mentre sorseggiate un single malt invecchiato almeno quindici anni? Se
non l’avete fatto, fatelo e capirete di cosa sto parlando. Era il 1975. La PFM
era già la PFM e Lanzetti era qualcosa di più di una promessa della musica. Una
delle migliori voci del panorama rock italiano, insieme a Demetrio Stratos. È il cantante degli Acqua Fragile quando la PFM decide che è ora di avere un vocalist,
un front man. Fino ad allora si erano divisi il compito un po’ tutti i componenti
della band. In fondo tutti i gruppi avevano un cantante. King Crimson, Gentle
Giant, Genesis, gruppi ai quali i “premiati fornari” si ispiravano, lo avevano.
I tempi erano maturi, ci voleva un cantante. Dopo un breve ballottaggio con
Ivan Graziani scelsero Lanzetti. Con buona pace del buon Ivan. Sarebbe stata
dura per chiunque competere con la capacità di Bernardo di controllare la potenza
che si ritrova tra diaframma, polmoni e gola, di saper usare la sua voce con la
stessa padronanza con cui un grande musicista usa il suo strumento. In più
sapeva l’inglese come un inglese, avendo studiato negli Stati uniti, il che non
guastava, viste le ambizioni ultra oceaniche della PFM.
Finalmente insieme.
Ora non resta che assemblare i pezzi. Ognuno metterà sul piatto il proprio
estro, il proprio talento: Pagani disegna il modello, Lanzetti ci mette i
drappi, Di Cioccio i merletti, Mussida i pizzi, Premoli imbastisce e Djivas
cuce il tutto. Fatto! Alta moda, senza dubbio. La PFM aveva già ottenuto un
buon successo internazionale con gli album precedenti e ora, con Lanzetti in
più nel motore, si apprestava a spiccare il definitivo salto verso la fama
internazionale. Esce Chocolate Kings,
perla di luce di luna piena. Questioni politiche fanno sì che l’album non
ottenga il meritato plauso oltreoceano, che la band si aspettava: la bandiera
americana accartocciata in copertina, il testo dissacrante della title track, la partecipazione del
gruppo ad un evento benefico in favore, tra gli altri, dell’ OLP, quando
l’industria discografica statunitense era in mano agli ebrei americani.
Insomma, mentre i sei italiani fanno arte, gli americani fanno politica.
Peccato, perché l’album non ha niente da invidiare a capolavori come Nursery Crime o In the Court of the Crimson King. La struttura musicale è
ovviamente solida, visti gli interpreti e il canto di Lanzetti impreziosisce il
tutto come un buon Nebbiolo impreziosirebbe qualunque pasto. Dalla corposa e
allo stesso tempo intimista From Under,
passando per la soffice Harlequin,
fino alla roboante Out of the Roundabout,
l’album percorre le impervie vie del progressive, senza mai dare segni di
cedimento, senza mai perdersi. Il meritato successo internazionale arriva comunque,
malgrado gli americani. Grande successo in Inghilterra, perché gli inglesi se
ne intendono e grande successo in Giappone, perché i giapponesi sanno
apprezzare la bellezza. Passano gli anni, non molti, soltanto due, è il 1977,
esce Jet Lag. Nel frattempo alcune
cose sono cambiate: Pagani ha lasciato il gruppo, forse deluso dall’insuccesso
“politico” di Chocolate Kings in
America o forse semplicemente desideroso di intraprendere un percorso solista.
Chissà, magari un giorno ce lo racconterà. I restanti membri del gruppo passano
un periodo in California e rimangono colpiti dal jazz-rock, la cui influenza sarà evidente nel nuovo album e
reclutano il violinista Greg Block. Anche stavolta il genio degli interpreti non lascia dubbi. Si va dalle intersezioni tra violino e piano elettrico nella title track, all'arabeggiante Breakin in, a Cerco la Lingua, dove è la voce di Lanzetti ad intersecarsi ora col violino di Block, ora col basso di Djvas, fino a Left Handed Theory, in cui la band da un'ulteriore colpo di coda e ripropone un altro affresco di quel progressive dal sapore mediterraneo, che li ha sempre contraddistinti. Colpo di coda, già. Perchè i tempi cambiano e con loro cambia la musica. Il punk sta per esplodere e come una gigantesca molotov incendierà il mondo e non farà prigionieri. La cover di Jet Lag, peraltro inserita nel libro "The Illustrate History of the Rock Album Cover", che raccoglie le più belle copertine del mondo, rappresenta un aereo di carta tra le nuvole e il significato stesso delle parole "jet lag", sembrano essere la scenografia perfetta dello stato d'animo del gruppo. Storditi dai continui cambi di fuso orario dovuti ad incessanti tours mondiali, sembrano vivere sospesi tra le nuvole, indecisi se tentare di ripercorrere la strada ormai nota del successo internazionale, o atterrare nuovamente sui palcoscenici italiani. "La seconda che hai detto", direbbe Corrado Guzzanti nei panni di Quelo. Tornano in Italia. E' il 1978. L'album è Passpartù. La copertina è impreziosita dal disegno di un esordiente, Andrea Pazienza, ed è l'ultimo di Lanzetti con la PFM. Di prgressive, obiettivamente, resta poco. Si lascia spazio ad una vena più cantautorale e Lanzetti canta in italiano. L'album regala ancora brani che luccicano: penso a Svita la Vita, dove Lanzetti si esalta in scioglilingua che sembrano essere appunto svitati dalla sua ugola. Alla dolcezza aristocratica di Se Fossi Cosa. Ma più di ogni altra penso a I Cavalieri del Tavolo Cubico, dove ancora una volta percussioni, basso, batteria, tastiere, chitarra e voce vengono mescolati con la sapienza di un antico alchimista, per dare vita a tutto, perché tutto è presente in questo pezzo:prog, jazz, funky, latino. Se quindi il progressive si va spegnendo negli stomaci dei "pieffemmini", di certo resta la tecnica. La capacità di fare uscire dagli strumenti proprio quel suono che avevano in mente, proprio quello lì. Una tecnica musicale che non può essere migliorata, perchè già "più migliore". A parte Bernardo Lanzetti. Da Chocolate Kings a Passpartù, passando per Jet Lag, Bernardo continua ad evolversi, rendendo sempre più personale quel modo di cantare che lo ha reso famoso, che lo ha reso, insieme a Demetrio Stratos, la voce più bella d'Italia. Lo so, l'ho già detto, ma lo ripeto volentieri, a costo di apparire monotono. Ho avuto il piacere di ascoltare Lanzetti dal vivo, non molto tempo fa, e ogni volta che iniziava a cantare la tempesta vocale inondava prima il microfono e poi l'intera sala del teatro, e la sensazione che provavo era di luce, proprio così, una sensazione di luce. Franco Battiato un giorno ha detto: "Nella voce di un cantante si rispecchia il sole". E' vero, io l'ho provato quel giorno.
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