Nel numero speciale di MAT2020
dedicato a Bernardo Lanzetti, Claudio Milano, musicista e artista globale, ha confezionato
un articolo dedicato alla “Vocalità”.
E’ obiettivamente molto lungo e poco adatto ad un
blog, ma la valenza del documento è tale che appare impossibile una dispersiva operazione
di suddivisione in differenti episodi. L’analisi è approfondita e carica di
esempi video che rendono il tutto un saggio da conservare, qualunque cosa si pensi della
musica e qualunque sia il ruolo che si occupa all’interno di essa.
La “Nuova
Vocalità”, eterna frontiera della voce
di Claudio Milano
Che la rivoluzione in musica del '900 non
fosse solo cosa da toccare la musica strumentale era ovvio, almeno quanto lo
era il fatto che il retaggio culturale del canto lirico sarebbe stato un
ostacolo in questa direzione piuttosto che una naturale evoluzione verso altro
e la possibilità di integrazione con altri modi tecnici ed espressivi legati
allo strumento voce.
L'unica eccezione in campo lirico era stata
quella dei castrati, vocalità estrema, indotta e studiata, come nel caso del teatro, per allontanare le
donne dalle arti, alimentare un senso di pietismo nei riguardi di tabù legati
all'identità di genere e alla sessualità, sulla base di dogmi religiosi e di
morale.
Il nuovo arriva dunque da un continente
nuovo, povero di storia ufficializzata e affamato della voglia di crearsene una
anche in campo artistico. La nascita del jazz, si sa, dall'evoluzione del blues
rurale e di quello urbano, portava con sé un carattere popolare nell'uso della
voce, che per quanto potesse cercare di accordarsi con le tradizioni europee,
veniva riconosciuto come autentico tanto più andava a pescare nella cultura
afro-europea, nella vita difficile, malfamata e oltre i limiti della legalità
dei quartieri poveri. La voce nel jazz, smette finalmente di essere “bel canto”
e torna ad essere, con nobiltà, “suono” ed espressione di un'identità, racconto
di una storia vissuta (Billie Holiday docet). Con Gershwin, la
cultura occidentale, iniziava seriamente a guardare fuori dai confini accettati
in modo ben più autentico che con le fascinazioni per le culture musicali e
asiatiche di Debussy (che comunque mai la voce avevano riguardato) e di
quello dei canti popolari nobilitati dai grandi compositori dell'est e da Ravel.
In breve, se un Picasso in musica c'era stato, attraverso il recupero del “primitivo”,
questo era Schoenberg, ma il suo fare estremamente razionale legato alla
dodecafonia, non aveva minimamente intaccato la didattica della voce,
potenziandola anzi, laddove, l'abbondante uso dei cromatismi, ora richiedeva
ulteriore padronanza dei mezzi impartiti dai docenti di canto per secoli.
Curiosamente la vera rivoluzione arriva dal
teatro ed ha un grande interprete, Antonin Artaud. E'il regista
francese, attraverso le estremizzazioni più autentiche ed espressioniste
dell'idea di Gesamtkunstwerk (opera d'arte totale) wagneriana a
raccogliere le decostruzioni del pensiero e delle azioni dadaiste e futuriste e
a trasportarle nell'uso della voce nel suo “Per farla finita col giudizio di
Dio”. E'un passo importante che in realtà ben poco sarà recepito dai
circuiti, anche meno istituzionali del canto europeo. Come spesso accade i
passi verso la nascita di un'idea di “nuova vocalità”, capace di
abbracciare più sistemi didattici, andando a pescare nelle tradizioni popolari
di latitudini diverse, non più legata all'idea di unico registro e unico
colore, ma anzi attenta alla ricerca di tutte le sfumature possibili (tecniche
ed espressive) offerte dallo strumento voce e dal suo suono tout court,
compatibilmente con le possibilità fisiologiche ed il costo (fatica) vocale,
entrambi da riformulare sulla base del soggetto e non di un sistema capace solo
di riprodurre a catena vocalità pressocchè identiche se non per minime
sfumature, arriva per caso e grazie ad
un talento straordinario. Non si tratta del primo, ovviamente, ma del primo
riconosciuto come tale a livello, quasi, mondiale, grazie alla capacità, unica,
di mettere assieme l'istituzionalità del canto lirico, con le tradizioni
popolari sudamericane e qualcosa di completamente nuovo, la voce intesa come
“suono puro”, anche fine a sé stesso, capace come nel caso di un uccello lira
di imitare qualsiasi timbrica, al fine di ampliare le possibilità espressive
della voce, tanto in fraseggio strutturato che nell'improvvisazione. Questa
rivoluzione ha un nome, Yma Sumac.
Indipendentemente dalla leggenda legata al
nome e al personaggio, che tralasciamo a rotocalchi e a biografie, più o meno
attendibili, la Sumac è cantante (soprano leggero naturale) per lo più
autodidatta che riesce, grazie a delle potenzialità fisiologiche inaudite
(conformazione cordale, cranica e fisica) nello studio giocoso delle emissioni
sonore degli animali della foresta e nella riproduzione di timbriche inquietanti,
quanto angeliche, divertenti, brillanti. Il tutto sviluppando, senza alcuna
parsimonia, ma anzi, con un fare spregiudicato e “manifestativo”, un'estensione
che le permetteva di toccare armonici oggi definiti “frei” e dunque
sub-armonici vicini al kargyraa tuvino/mongolo, inferiori di almeno un'ottava
rispetto a quelli del basso profondo, per raggiungere frequenze “flute” o
meglio “whistle (di fischio)” capaci di superare anche di due ottave quelle del
soprano di coloritura (come in alcune emissioni rituali africane). Celebre il
brano “Chunco”, visibile anche in rete, grazie ad un'esibizione a Mosca
nel 1960 http://www.youtube.com/watch?v=RR1V8aqEcwM
dove vengono usati abbondantemente schiocchi, colpi di glottide, accenni di
armonici, uso contemporaneo di corde vocali vere e false, fischi.
La leggenda della Sumac era e resterà però
di nicchia e andrà ad informare orecchie ed apparati fonatori di pochi
intellettuali “open minded”, su tutti, Cathy Berberian, mezzo-soprano
lirico di ampie vedute e possibilità, compagna del grande compositore Luciano
Berio, che con lei cerca di formulare un nuovo abbecedario tecnico e
timbrico applicabile alla voce. Berio, scrive per e con la Berberian la
Sequenza III per voce femminile (1965) che ascoltiamo qui in una esecuzione
del 1966 http://www.youtube.com/watch?v=1hxjCIANddU.
Le lezioni della Sumac e Artaud appaiono qui completamente messe a fuoco e
istituzionalizzate, per quanto con un'attenzione estrema alla fisiologia e al
costo vocale. E'un passo importantissimo per la cultura occidentale che avrà
seguito con Stripsody (1966), ad opera della stessa Berberian e di Roberto Zamarin http://www.youtube.com/watch?v=rmOwX1xTAak
straordinario esempio di come l'idea del canto lirico possa essere associato
all'onomatopeico fare della poesia visiva futurista, dadaista e la nuova idea
pop wharoliana. Wharol è assieme a Berio il più grande maestro della
Berberian e il definitivo sviluppatore nonché canale di risonanza dell'idea di
nuova opera d'arte totale nella quale cultura “alta e bassa” collimano e si
integrano dopo il gesto dadaista dell'orinatoio-fontana esposto da Duchamp,
non a caso nel brano compaiono una citazione di “Ticket to ride” dei Beatles
(che la cantante omaggia con un disco eccezionale e divertentissimo, quale è Beatles
Arias del 1967), e l'urlo di Tarzan. Nel 1966, la cantante e compositrice darà
nome alle nuove istanze pubblicando “La nuova vocalità nell'opera
contemporanea”, opera tutt'oggi null'affatto digerita e compresa dagli
ambienti accademici, quanto da quelli non istituzionali. Il mondo delle arti
visive ormai si muove gioiosamente in maniera libera, si scolla di dosso
categorie e barriere di forme espressive e di obbligatorietà drammatiche e
trova nel Fluxus la riposta alla nuova necessità espressiva. Ne fa parte
una giovane cantante e artista giapponese di nome Yoko Ono. Con la Plastic
Ono Band, la sottovalutata e spesso derisa artista naturalizzata a Londra,
portò elementi primitivisti (l'urlo primordiale come manifestazione più
autentica del sé) ed altri desunti dal Teatro Nō giapponese all'interno della
musica pop rock, favorendo un processo di integrazione tra l'estetica popolare
e quello delle avanguardie già iniziato nel 1966 con Pet Sounds dei Beach
Boys e Revolver dei Beatles, con i quali, certo non trasversalmente,
condivide fortune e miracoli. Il brano Why da Yoko Ono/Plastic Ono
Band del 1970 è un manifesto del suo percorso creativo ed espressivo, che
evidentemente, nella brutalizzazione del canto avrà come epigone diretto il
fenomeno punk: http://www.youtube.com/watch?v=DCb0TsSIqI0.
Si tratta di una modalità che per la prima volta, ben poco ha a che vedere con
l'attenzione per la fisiologia cordale e per possibili danni apportabili alle
stesse e non è un caso che la cosa venga da un'artista giapponese per via della
struttura corporea che le popolazioni asiatiche hanno maturato, mostrandosi ben
più capaci di quelle europee alla tenuta di un suono estremo (come Yamatsuka
Eye mostra con assoluta disivonltura (http://www.youtube.com/watch?v=UfwhG1KtQp4).
Fin qui però quello che si è visto latitare
è l'assenza di un fare manifestativo in favore di uno più autenticamente
espressivo, proprio di un'epoca nella quale la ricerca di una nuova percezione
attraverso la parola avanguardia (John Cage e La Monte Young
insegnano), allontana più umane e naturali forme di percezione della vita
stessa e del suo legame col fare (o essere) arte. A colmare questa “lacuna” che
tale non è in realtà perchè valutabile in questa direzione solo
retrospettivamente, è un ex cantautore di folk psichedelico convertitosi ad una
musica totale capace di abbracciare classica contemporanea, free jazz, folk,
rock, blues e un'attitudine innata ad un suono espanso e avanguardista, figlio
della stagione psichedelica e “progressiva” (di cui di fatto sarà precursore e
massimo interprete) e il suo nome è Tim Buckley. La “conversione” al
nuovo verbo arriverà a Tim, già cantante dotato di rari estensione e timbro, in
seguito alla visione di un'esibizione della Berberian e all'ascolto di un disco
di Miles Davis, “In a Silent Way”.
Tim evolverà improvvisamente la sua vita e
la sua musica con dischi quali Happy Sad, ma soprattutto, Lorca, Blue
Afternoon e il “buco nero” Starsailor, capolavoro assoluto di nuova
vocalità e nuova musica (come allora veniva definito il nascente progressive
rock) dal quale l'ascolto dei brani Jungle Fire e Starsailor:
nei quali ad una vocalità figlia del blues,
si aggiungono venature jazz, jodle mediorentali prossimi al canto difonico, un
falsettone rinforzato che sembra non avere limiti in acuto e capace di unire
impostazione liricheggiante ad un'altra dichiaratamente black. Il tutto tra
note tenute fino all'inverosimile, ora appena accarezzate, ora urlate (con
controllo) e un senso di dramma e vitalità, insaziabile. Tanta grazia non portò
la stessa fortuna, nonostante l'apprezzamento di Frank Zappa e gli costò
il completo abbandono da parte di pubblico, critica e ispirazione, nonché una
misera fine a soli 28 anni. Solo negli anni '90 la sua opera è stata in parte
rivalutata grazie alle fortune (e sfortune) di suo figlio Jeff, la cui “grazia”
vocale tanta luce avrebbe portato a quel decennio già a partire dal bellissimo
live d'esordio http://www.youtube.com/watch?v=8kPUT_1d4dA
.
Come più volte però la lezione di Buckley
padre, non passò inascoltata, ma anzi fu capace di creare un piccolo nucleo di
seguaci nella sempre meno (a quei tempi dorati) ristretta area della musica di
ricerca, i cui confini geografici e di genere stavano diventando così labili da
diventare inutili.
Primo figlio della scuola buckleyana fu un
giovane cantante e poeta inglese di formazione gesuita, Peter Hammill. Hammill
ebbe (ed ha tuttora) il ruolo di ampliare la gamma espressiva di Tim inacidita
con l'urlo di Arthur Brown, riuscendo ad apportare una dimensione
teatrale al suo canto che in una frazione di secondo è in grado di passare da
un suono autenticamente femmineo da contraltista ad un urlo violentissimo che
impiega contemporaneamente l'uso di corde vocali vere e false, spaziando da un
devastante kargyraa mongolo ottenuto con le false fino a toni da mezzo-soprano,
ora urlati, ora impostati in una chiara dimensione europea-lirica. Quest'uso
vocale, per quanto non sempre tecnicamente ineccepibile (la tecnica qui non è
un fine, ma un mezzo), ma sempre intenso e sorprendente, ha fatto e fa di
Hammill, in particolar modo nei suoi live recital, al limite della confessione
analitica, l'interprete drammatico più autorevole dell'intera epopea rock,
nonché il camaleonte vocale per eccellenza, capace di cavalcare e piegare a suo
modo ogni genere musicale. Non a caso l'autore inglese si è guadagnato
l'appellativo di Hendrix della voce, cosa rafforzata dall'uso di
numerosissime sovraincisioni all'interno dello stesso brano, cosa poi ripresa
in maniera assai simile da un altro talentuoso cantante, Freddie Mercury.
Qui di seguito due conturbanti esempi della sua modalità vocale, A Louse is
not a Home
e A Plague of Lighthouse Keepers
dai capolavori The Silent Corner and the
Empty Stage e Pawn Hearts, del gruppo madre Van Der Graaf
Generator.
A questo punto mancava soltanto qualcuno in
grado di tesaurizzare le esperienze di tutti i suoi precursori portandoli alle
estreme conseguenze tecniche e questo qualcuno fu un cantante di origini
greche, naturalizzato italiano, Demetrio Stratos.
Talento naturale irripetibile e personalità
straordinariamente magnetica, Stratos fece della tecnica vocale qualcosa di
matematico, capace di grande forza comunicativa anche senza la ricerca di
particolari enfasi espressive, grazie anche al supporto di figure mediche
(siamo negli anni di prima affermazione della foniatria e della logopedia, come
scienze capaci di sopperire alle mancate risposte dell'otorinolaringoiatria),
importante in tal senso la sua collaborazione con il CNR di Padova; di
grandi compositori come John Cage e di un produttore illuminato quale era Gianni
Sassi, fondatore di quel laboratorio di idee, suoni e autentiche
provocazioni culturali che fu la Cramps (ben altra cosa è l'etichetta
oggi). Stratos, era un tenore capace
anche di frequenze baritonali piene con grande elasticità vocale tale da
estendere il suono della sua voce fino a frequenze da soprano leggero ed oltre
grazie all'impiego di suoni di fischio aspirati e appoggiati, ma capace anche
di suoni gutturali profondissimi raggiunti grazie all'uso di tecniche desunte
dallo straordinario maestro vietnamita Tran Quang Hai, custode di
tecniche orientali millenarie e profondo indagatore della voce come strumento http://www.youtube.com/watch?v=WGL7wDw8KP4
. Quello per cui il cantante, nato ad Alessandria d'Egitto e cresciuto tra
l'Emilia e Milano divenne ben presto noto dopo un'iniziale avvicinamento alla
musica rock più ortodossa e black, fu la manifestazione degli armonici di un
suono attraverso diplofonie a singola e doppia cavità e trifonie, la volontà di
attualizzare il legame tra parola parlata e recitata propria del “recitarcantando”
barocco, la volontà di indagare fino all'ossessione ogni suono producibile, dal
pre-vocale reso in chiave minimale alle più complesse emissioni immaginabili ad
Occidente e ad Oriente. L'estremizzazione che Stratos fece del suo percorso fu
uno shock culturale mai del tutto sanato, tant'è che tutt'oggi buona misura dei
vocalist non possono prescindere in alcun modo dalla sua figura e dal suo
operato. Dalla sua eccezionale resa del
linguaggio di Artaud http://www.youtube.com/watch?v=fP0_MqFfYNE
al lavoro con la band di avanguardia Area International POPular Group, qui di
seguito la magnifica “Giro giro tondo” dal concept “Maledetti” http://www.youtube.com/watch?v=zh28TfglomQ,
alle sperimentazioni soliste di Cantare la voce, Metrodora, alla
partecipazione ad Event di Merce Cunningham, assieme a Jasper
Johns e Andy Wharol e alle innumerevoli collaborazioni, qui quella
indimenticata con Mauro Pagani http://www.youtube.com/watch?v=hdxwbEykb9o,
Stratos rimane tutt'oggi un alieno piovuto in una realtà carica di mezzi ma con
poche capacità di metterle assieme. Lui lo ha fatto, senza riserve.
La sua prematura scomparsa, portò in Italia
un numero assai diffuso di cultori del suo percorso (da un giovanissimo Piero
Pelù a... Jo Squillo http://www.youtube.com/watch?v=oV4jNoMBa1E
), l'unico talento capace però di raccogliere la sua esperienza e di
svilupparla ulteriormente sebbene con risultati assai differenti fu Giuni
Russo.
Allo stesso modo, naturalmente dotata di un
talento vocale incredibile, la Russo ha avuto il ruolo di coniugare una
vocalità popolare nell'accezione più vera del termine, quella legata alle
tradizioni degli urlatori di stornelli, alla “nobiltà” del canto lirico, senza
tralasciare in minima misura studi di canto armonico, produzione di fischi
irraggiungibili per timbro e potenza, colore black, capacità interpretative
tali da giganteggiare nel repertorio brillante ed emozionare profondamente in
quello drammatico. Tutte caratteristiche che le hanno permesso di affrontare
ogni tipo di repertorio e difendersi da un mondo discografico che l'ha voluta
fino alla fine e ancora oggi, relegata a stereotipi da canzonetta balneare. Il
suo testamento musicale arriva ben presto attraverso la collaborazione con Franco
Battiato e Alberto Radius nell'album Energie del 1981 che
contiene brani come Una vipera sarò, Crisi Metropolitana, http://www.youtube.com/watch?v=qsICFLUakF4
ma soprattutto L'Addio, nel cui finale (dal minuto 3'54 in poi)
l'interprete esegue un fraseggio di una complessità tecnica irripetibile: http://www.youtube.com/watch?v=HpnprXDSIak.
Da segnalare anche la bellissima riedizione di A Casa di Ida Rubinstein
del 2011 con la partecipazione di Uri Craine, disco dalle improbabili
fusioni tra lirica, pop, jazz, fusion ed il bellissimo live Signorina Romeo
con un'emozionante Nada te Turbe: http://www.youtube.com/watch?v=RsHYhrKk0Ls.
Contemporaneo a Stratos, fu, sempre in
Italia il talento fragile del primo Alan Sorrenti, autore del prezioso
album Aria del 1972, con l'omonima suite http://www.youtube.com/watch?v=9O_FrtnxYjk
che manifesta un interprete capace di rivalutare la lezione di Tim Buckley, in
termini di duttilità e leggerezza vocale, sposandola con i colori del canto
iberico ed un uso deliberato quanto impressionante di colpi di glottide e
portamenti che prolungano all'infinito ogni singola sillaba.
A partire dalla fine degli anni '70 si
afferma l'eccezionale personalità di Meredith Monk, grande voce e
performer che ha sperimentato le relazioni tra corporeità e voce attraverso una
stretta relazione con le dinamiche musicali del minimalismo storico di Glass,
Riley, Reich. Per lei il canto è stato ed è assoluto rispetto del
sé, “luogo-non luogo” (o meglio, “crepa” come lei ama definirlo) dove non è
possibile in alcun modo intendere la voce in un modo al di fuori del rispetto
della propria fisiologia e dunque come assoluto autocontrollo e disciplina,
tali da avvicinare la ricerca del suono vocale a quella del Teatro Nō
giapponese e allo Zen, in assoluto rapporto con le dinamiche del mondo naturale
e delle sue manifestazioni. Estremamente mistica e minimale, la poetica della
Monk, legata anche alla danza e al teatro, vede il canto inteso come ricerca
interiore, esplorazione del sè. Di lei è possibile affermare ad oggi, come
abbia esperito ogni tipologia di tecnica immaginabile, studiando anche le
vocalità di popolazioni primitive, ottenendo risultati fantastici, talvolta
giocosi. La percezione del tempo nel suo canto segue percorsi altri da quelli
della vita ordinaria e può condurre a serenità quanto ad ansia.
Qui un prezioso documentario a lei
dedicato: http://www.youtube.com/watch?v=f_Xj3ID-ybw
. Tra le sue produzioni, consigliato l'ascolto di Songs from the Hill (1979)
e di Dolmen Music (1981).
Sua contemporanea è Joan La Barbara,
vicina al mondo di John Cage, con il quale ha diviso il percorso creativo
legato ad un'indagine psicologica/psichiatrica/antropologica dell” essere
voce, sulla base di culture molto distanti tra loro, indagando, in maniera
diretta, non solo le possibilità tecniche ed espressive di mondi esperiti come
tecnicamente diversi, ma anche e soprattutto, la possibile comunione tra essi,
senza alcuna priorità stilistica ed espressiva, cosa che l' ha resa e la rende,
senza dubbio, uno dei più grandi geni musicali e vocali di sempre. Suo capolavoro assoluto: Voice Is the Original
Instrument: Early Works (1976/2003).
Qui una sua performance significativa
quanto emozionante http://www.youtube.com/watch?v=YFtHUH1IMLM.
L'esplosione del fenomeno punk rese intanto
importanti forme altre di espressione vocale, più crude, che trovano nel
recitarcantando ipnotico che si apre alle urla e ai fischi inquieti di Blixa
Bargeld; nel primitivismo gutturale di Mark Stewart o nell'urlo di Terre
Roche, quasi un omaggio all'arte di Yoko Ono http://www.youtube.com/watch?v=hzFsDQeTUT4
. Le più grandi interpreti del fenomeno in termini di nuova vocalità furono
senz'altro due, nell'accezione di “post punk”, Nina Hagen e Diamanda
Galas.
La vocalità scombinata, epilettica della
prima, violentemente teatrale e dadaista trova un favorevole alveo di
formazione tra le mura del canto lirico ridotto a burlesque, nell'esasperazione
dell'urlo di fischio, nella violenta compressione cordale fino ad ottenere
suoni gutturali ora disumani, ora divertenti, sempre legati ad una poetica
anfetaminica e ad un immaginario infantile o tardo adolescenziale che
nell'album Nunsexmonkrock del 1982 http://www.youtube.com/watch?v=KBvUmL-YagI
trova la massima espressione, prima di un rovinoso crollo vocale dovuto ad
abuso delle proprie potenzialità.
La seconda rappresenta invece un punto di
non ritorno dell'espressione della vocalità umana ed è tutt'oggi assieme a
Stratos, emblema assoluto dell'idea di nuova vocalità. Tra le prime interpreti
ad impiegare l'elettronica applicata alla voce (assieme a Laurie Anderson,
di cui ricordiamo la poetica ben più minimale di Big Science del 1981: http://www.youtube.com/watch?v=0hhm0NHhCBg)
Diamanda Galas è stata e rimane l'interprete più violentemente
espressionista che la cultura occidentale abbia prodotto. In lei è la
manifestazione del senso di colpa cattolico che si riduce a supplizio,
autoflagellazione che declina nel gotico più efferato e nero. Dotata di una
preparazione vocale lirica invidiabile, di una costituzione anatomica cordale
capace di reggere ogni possibile martirio e di ogni meraviglia tecnica, dal
suono gutturale più volgare a tessiture da soprano lirico semplicemente
angeliche, la voce della Galas è un autentico tesoro di armonici, capace di
bellezza nei momenti più lirici e di orrore nelle grottesche declinazioni del
canto a putrescenza decadente e baudeleriana. Figlia dell'Artaud più estremo,
la voce della cantante greca, si è prestata nei primi anni di carriera a
performance sconcertanti, al confine col satanismo più torbido, ma mai farsesco
(cosa che inquieta doppiamente). Il frequente uso di due microfoni durante le
esibizioni, uno con l'applicazione di effetti, l'altro capace di restituire
solo la crudezza del suo timbro, le permettevano di creare dei bordoni di suoni
di fischio sulla settima o ottava ottava, oppure di suoni gutturali in sub
armonico o con il semplice impiego delle false corde, sui quali la voce poteva
scalare liberamente le ottave in declamazioni simili a violente invettive, che
non risparmiavano alcun possibile impiego dell'apparato fonatorio, a discapito
di un impiego di energie semplicemente enorme, capace di trasformare ogni sua
esibizione in un rito catartico e di rendere al massimo della contemporaneità
l'estetica del sublime romantico. Negli ultimi anni la sua voce si è dedicata
invece prevalentemente alla riproposizione in chiave personale di un repertorio
blues restituito all'originario spirito osceno e sovversivo.
Fenomeno autentico e tutt'altro che
d'immagine, di lei ricordiamo l'impressionante secondo episodio dalle Litanie
di Satana, qui in una performance live: http://www.youtube.com/watch?v=Th1hLNoOjn4
, l'album omonimo del 1984, il live Plague Mass, Saint of the Pit,
con le raccapriccianti Cris D'Aveugle http://www.youtube.com/watch?v=ozj9CLeVLLw
e Deliver Me http://www.youtube.com/watch?v=6l4qtLlo4XM
, Vena Cava del 1993, il bellissimo live at Poznan del 1999 http://www.youtube.com/watch?v=Ti9DhGFRFdg.
Un movimento mai troppo celebrato
nell'epoca di massima espansione, tra fine anni'70 e primi anni '80 è il Rock
in Opposition o R.I.O. i cui massimi interpreti vocali, in perfetta aderenza
alle istanze avanguardiste di nuova vocalità sono Dagmar Krause e Catherine
Jauniaux.
Dagmar Krause è un talentuoso soprano
tedesco, fuggita dalla Germania Est negli anni della Guerra Fredda per
incontrare il mondo inglese delle avanguardie. Attivista comunista dichiarata,
sarebbe diventata ben presto la voce più importante del R.I.O. grazie alla
capacità di estendere i suoi fraseggi ad intervalli davvero impossibili, anche
ritmicamente, dal registro di contralto a quello di soprano, con assoluta
naturalezza e potenza espressiva-espressionista dal carattere tipicamente
mitteleuropeo. Dai primi anni '80 raggiungerà il massimo dell'abilità vocale ed
interpretativa, maturando oltre al suo stile vocale inconfondibile, legato alla
dodecafonia, l'impiego di screaming, suoni di fischio, neo-primitivisti e
gutturali. Estremamente drammatica e tensiva, è da anni una delle più
apprezzate interpreti mondiali dell'opera di Brecht e Kurt Weill.
Qui, Living in the Heart of the Beast da In
Praise of Learning, un episodio dal fortunato album con gli Henry Cow,
http://www.youtube.com/watch?v=CxkDtA711aA e l'incredibile Freedom da The World as it
is Today degli Art Bears http://www.youtube.com/watch?v=Zdt6wtuDDpg.
Catherine Jauniaux è fenomeno vocale
assai particolare, che ha indagato antropologicamente lo studio di fonazioni di
tutto il mondo senza sosta, raggiungendo risultati tecnici stupefacenti, pur
con un timbro non sempre gradevolissimo e con qualche problema di tenuta del
suono, cosa paradossale se associata a tanta conoscenza delle modalità di
emissione più estreme e dimenticate, ma anche caratteristica sua e scelta non
priva di fascino naif.
Ha all'attivo pochi lavori il più grande
dei quali è una vera e propria antologia di quello che si può fare con la voce
in ogni latitudine del mondo ed è considerato, a ragione, uno dei dischi più
belli dell'avanguardia di sempre. Si chiama Fluvial (1983). Da esso: http://www.youtube.com/watch?v=D5Y3SH5_QIk,
qui una significativa performance dal vivo http://www.youtube.com/watch?v=0EkopwvUFuc.
Il post punk produceva intanto vocalità
assai significative nel rapporto all'idea di nuova vocalità, Lisa Gerrard,
in particolar modo, eccezionale contralto con una grande padronanza dei canali
di risonanza e abilità nell'emissione di suoni vicini al canto est europeo,
medio orientale ed orientale, ben fusi con istanze medievali europee come
testimoniato da Persephone http://www.youtube.com/watch?v=IjihDvgCQcI,
brano che chiude il capolavoro Within the Realm of a Dying Sun (1987)
della band a cui dà voce, i Dead Can Dance, o Cantara http://www.youtube.com/watch?v=BNxa0odpCJU
dallo stesso lavoro. In Italia allo stesso fenomeno, in chiave electro pop,
aderiva il grande talento di Antonella Ruggiero, soprano leggero, dalla grande
estensione, controllo e bellezza timbrica (indimenticabili alcune sue
performance con i Matia Bazar, come Ti Sento e soprattutto C'è Tutto
un Mondo Intorno http://www.youtube.com/watch?v=iAUSGv7PCZE
), capace di “scivolare” su frequenze da contralto per risalire su tessiture da
soprano di coloritura, affrontando repertori tra i più disparati, dal pop a
quello sacro, fino ad approdare ad emissioni orientali negli ultimi anni di
carriera solista con il notevole Luna Crescente-Sacrarmonia del 2001,
qui di seguito, Nuova Terra, da Libera del http://www.youtube.com/watch?v=imWcVzCKYqw del 1996.
In est Europa emergeva intanto il gran
talento di Iva Bittova, cantante e violinista Ceca che ha fuso nell'arco
della sua carriera musica classica contemporanea e folk est europeo, passando
indistintamente attraverso le poetiche del suono e del rumore. Dotata di una
grandissima estensione vocale naturale, ha approfondito lo studio fonatorio
riuscendo ad emettere con ogni tipo di suono, dal grugnito al soffio, passando
per profondi kargyraa e suoni di fischio associati a quelli di un violino
martoriato quanto capace di commuovere. Il tutto con un fare minimalista, mai
stucchevole. La fusione naturale tra Laurie Anderson e Diamanda Galas, con un
carattere balcanico. Tra i suoi album più apprezzati, Iva Bittova (1991)
e Bittova and Fajt (1987), qui di seguito una significativa performance:
http://www.youtube.com/watch?v=6eWIlcyqA-4
.
Il livello di consapevolezza e abilità
tecnica viene intanto spostato un ulteriore passo in avanti dal genio vocale di
Bobby Mc Ferrin, più che un cantante jazz un'autentica macchina timbrica
capace di salti di ottava (dalle frequenze del basso profondo a quelle del
sopranista leggero) nell'arco di un microsecondo, senza alcuna minima
alterazione di intonazione, di suoni percussivi (beatboxing) e orchestrali
emessi con la voce e attraverso l'attivazione di casse di risonanza corporee
(petto in particolar modo) Qui un esempio http://www.youtube.com/watch?v=81uJZIF9TCs
. Abilissimo
intrattenitore live, Mc Ferrin farà del canto in maniera assolutamente serena,
un'arte ginnica lieve, piacevole e sorprendente come nessun'altra, creando
un'autentica scuola mondiale che sposterà in una dimensione meno europea e
tensiva l'intenzione della nuova vocalità, ora sposata all'idea di “good
vibrations” più che ai suoni spesso disarticolati e fastidiosi delle
avanguardie europee. Il suo album Circlesong del 1996 diventerà
prestissimo un'ossessione per molti cantanti mondiali di ricerca aprendo nuove
strade alla ricerca vocale. In particolar modo in chiave ritmica e
nell'improvvisazione di gruppo.
Gli anni '90 sono di fatto l'affermazione e
del riconoscimento a livello mondiale di diverse scuole non liriche, il Voice
Craft e il Metodo Funzionale di Gisela Rohmert, giusto per
citare un paio che diventerebbero centinaia soltanto ad elencarle. Il successo
del film Farinelli (1995) porta alla ribalta l'interesse per la vocalità
di controtenore, con autentiche “macchine da guerra” dell'ugola come Aris
Christofellis http://www.youtube.com/watch?v=lO71XQEvKoQ
, Angelo Manzotti http://www.youtube.com/watch?v=CsXstaVJDX8
, Radu Marian, Philippe Jaroussky, ben presto rimpiazzati
relegati da critica e pubblico a “moda del momento”, a favore di ben più
fortunati mezzo-soprani come la giustamente celebrata Cecilia Bartoli http://www.youtube.com/watch?v=rISjBGOtHhs
. Anche il rock paga tributo a quest'estetica con l'angelica voce di Jeff
Buckley che si cimenta in riletture di Henry Purcell http://www.youtube.com/watch?v=Y11AMsuh6Ls
e Benjamin Britten http://www.youtube.com/watch?v=lgh-KNz7Vjw
mentre consegna alla storia il suo capolavoro di poesia rabbiosa e indifesa di
nome “Grace” (1994).
Negli stessi anni si afferma la vocalità
surreale, teatrale e rumorista di Phil Minton, anche attore e
doppiatore, in grado di riprodurre una quantità di suoni paragonabile a quella
di un campionatore umano. Per Minton la voce è un gioco egregio, assai lontano
dalle istanze europee. E'motore di uno degli album più importanti di sempre in
ambito di nuova vocalità: Five Men Singing del 2004, con Jaap Blonk,
Koichi Makigami, Paul Dutton e David Moss: http://www.youtube.com/watch?v=9gLU4OL7SAc
.
Il mondo dell'heavy metal che aveva trovato
l'estremo nei '70 laddove qualcuno aveva già bussato, nell'uso isterico del
falsettone rinforzato (Gillan e Plant docet), negli anni '90
trova invece delle soluzioni inedite con le tecniche dello screaming e del
death growl che vedranno in Mike Patton massimo e più completo
interprete. Vocalist assai eclettico e carismatico, capace di passare nell'arco
di uno stesso brano da frequenze da crooner a potentissimi acuti in falsetto,
da suoni ritmici (è considerabile in materia un autentico fenomeno) ad altri
atmosferici, è uno dei più grandi innovatori vocali di sempre, non a caso a
corte di un genio quale è John Zorn. Tra i suoi lavori più significativi,
Mimicry (1998), Delirium Cordia (con in Fantomas – 2004) ,
Disco Volante (con i Mr Bungle – 1995). Qui con i Tomahawk: http://www.youtube.com/watch?v=LxNDKsyvMOI
.
Dagli Stati Uniti arriva invece il
ritualismo ossessivo di Arrington De Dionyso. Figura unica nel contesto
degli anni '90, ha approfondito in maniera inedita il legame tra il canto
rituale delle popolazioni dell'Eurasia e quello Europeo di tradizione post
punk. E' il massimo esperto occidentale di kargyraa ma è capace di
un'estensione assai importante che raggiunge frequenze davvero inquietanti per
una voce maschile con il whistle register, passando con naturalezza dal
registro di basso a quello di tenore, con assoluta padronanza del canto
armonico. Tra i dischi più significativi, con gli Old Time Relijun, Uterus
and Fire (1999), da solista: Suara Naga (2011). Da Uterus and Fire, http://www.youtube.com/watch?v=WYLjhZTgVPg .
Da segnalare anche l'enorme potenziale del
soprano d'agilità Viviane Houle, autrice del magnifico Treize
(2009), dove l'artista canadese, con estrema sensibilità estende naturalmente
il suo canto sulla sesta ottava ed esprime in whistle schegge di suono da autentico
delfino sulla settima ed ottava, il tutto con grande partecipazione drammatica
ed un colore timbrico unico, qui in un brano del collettivo InSonar https://soundcloud.com/claudio-milano/insonar-gallia-1-feat-viviane
.
Mentre la cultura occidentale si muove
altrove per trovare soluzioni vocali inedite (la ricerca metodica di Roberto
Laneri http://www.youtube.com/watch?v=XUq4AbzQqu0
), altrettanto accade con culture extraeuropee che si sono mosse negli ultimi
decenni verso le nostre latitudini per creare interessanti ponti comunicativi,
capaci di espandere le potenzialità dello strumento voce, dal canto microtonale
indiano di Amelia Cuni http://www.youtube.com/watch?v=O-MJUcxriF8
, al qawwali del compianto Nusrat Fateh Ali Khan http://www.youtube.com/watch?v=GvQVxrMZB18
, al canto difonico di Albert Kuvezin http://www.youtube.com/watch?v=RPDBDBiaX7E
e Sainkho Namtchylak http://www.youtube.com/watch?v=KG5xofNbP9M
, la fusione di linguaggi diventa sempre più varia, complessa e completa.
In un periodo storico di ritorno di fiamma
per le voci di carattere (Antony, Asaf Avidan) e mentre sulla
scia di vocalità come quelle di Mariah Carey e Georgia Brown, la
nuova frontiera appare l'esasperazione del suono di fischio aspirato e in
fraseggio, approdato anche nei talent show nostrani con la bella vocalità di Erika
Biavati http://www.youtube.com/watch?v=4C6jHDdpLVs
,il ruolo dell'Italia in materia rimane ancora essenziale grazie a personalità
assai importanti.
John De Leo, ex Quintorigo
(con cui realizza tre album eccellenti Rospo, Grigio, In
Cattività) due volte premio della serissimo e fumettoso scalatore di ottave
e indagatore di timbri e suoni, è probabilmente al momento l'interprete
tecnicamente più capace al mondo in quanto a possibilità timbriche e ritmiche,
perfetta sintesi dei percorsi di Stratos e Mc Ferrin http://www.youtube.com/watch?v=Ak94mZuGYHs
Romina Daniele, voce assai
carismatica, dei piani sensibili, capace di smembrare in diffrazioni armoniche
e contemplative l'espressionismo della Galas
Cristina Zavalloni, probabilmente la
più grande cantante di classica contemporanea nel mondo. Soprano
dall'incredibile duttilità vocale è l'erede diretta di Cathy Berberian, ma ha
un carattere suo senza paragoni possibili. Ha cantato le cose più difficili da
cantare, si è confrontata con la classica, il jazz, la musica etnica, il pop.
Per lei hanno scritto i massimi compositori contemporanei.
Katya Sanna, voce
preziosissima dall'impressionante gamma tonale che spazia da registri
praticamente maschili a suoni di fischio adamantini, con un carattere
assolutamente incantevole. Di lei, da segnalare il bellissimo “Il chiarore
sorge due volte” (1995) con i Dunwich
Petra Magoni, soprano d'agilità
con ottima preparazione nell'esecuzione del registro di fischio, è voce dotata
di un carattere brillante davvero singolare
Oskar Boldre, massimo esperto
italiano nell'uso del canto armonico, voce duttilissima, qui con Mc Ferrin
Patrick Fassiotti, esperto nell'uso
del canto armonico quanto dotato di un timbro più che raro
Particolare interesse ha suscitato negli
ultimi anni una manifestazione in onore di Stratos, nota appunto come Omaggio
a Demetrio Stratos e fondata dal suo ex allievo Raffaello Regoli,
qui una sua affascinante incisione http://www.youtube.com/watch?v=6orOOQwu3Ws. Oltre alla figura di Regoli stesso e sotto la
guida di Tran Quang Hai, dalla manifestazione hanno mosso i loro percorso voci
davvero eccezionali che hanno portato un passo oltre il percorso del maestro di
Alessandria d'Egitto, fondendo le sue ricerche con quelle di Mc Ferrin e di
scuole ben più recenti, tra queste quelle di Renato Miritello http://www.youtube.com/watch?v=a6blNTvmbtQ,
Boris Savoldelli, Albert Hera, http://www.youtube.com/watch?v=4n8EoII5ch8
il dadaismo del collettivo Flusso del Libero Suono http://www.youtube.com/watch?v=908xRZs7rgc.
Quest'anno la serata conclusiva della Rassegna si terrà il 22 Giugno nel
piazzale delle Lampare a Castel di Tusa (ME)... la storia continua.
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